Il sale della partecipazione
benessere, conciliazione, contrattazione, creatività, incentivi, innovazione, leadership, organizzazione, partecipazione, Stefano Zamagni
In casa ho stabilito una regola: chi arriva per ultimo la sera deve trovare la tavola apparecchiata. Va da sé che se sono io la prima ad arrivare a casa, oltre alla tavola ci si aspetta che sia pronta anche la cena. Non succede sempre, quindi i miei due figli si dividono l’onere. Se nessuno dei due si è degnato di tirar fuori nemmeno un piatto inizia la caccia alla scusa: “Ma come, mio fratello non è in casa? Non me ne ero nemmeno accorto…”. Comunque, torniamo al caso in cui qualcuno si sia accorto che l’ultima all’appello sono io e decida di accollarsi l’onere: tovaglia, piatti, bicchieri e tovaglioli. Punto, il compito è stato portato a termine tanto che quando arrivo a casa l’apparecchiatore, tronfio, sottolinea la portata del gesto: “Hai visto cosa ho fatto?”, “Hai fatto il minimo sindacale”, ribatto. Ha apparecchiato la tavola seguendo la sua motivazione estrinseca, come ci ha ben spiegato Stefano Zamagni. Se avesse cercato di fare uno sforzo in più, se insieme alla tovaglia avesse anche messo sul fuoco la pentola con l’acqua per fare due spaghetti, tutti noi che condividiamo lo stesso tetto ne avremmo tratto grande giovamento. Avremmo potuto sederci a tavola un po’ prima e, sempre ragionando per assurdo, se insieme alla pentola dell’acqua avesse provato a fare un sugo (nessuno pretende prestazioni da Masterchef, ma un soffritto con un sugo di pomodoro per condire la pasta è una cosa che si insegna all’età delle scuole medie, se non prima) ora la mamma che è in giro da 12 o 13 ore magari avrebbe apprezzato. Come si fa a spronare questi atteggiamenti? Si aggiungono 20 euro alla paghetta? Se propongo un incremento dell’assegno mensile –diciamo del 10% (l’incentivo)– a fronte della promessa di apparecchiare, con aggiunta di pentola sul fuoco, secondo voi, funzionerebbe? I primi due-tre giorni può darsi. Dal quarto l’incentivo finisce nel dimenticatoio e al mio rientro troverò sempre qualcuno pronto a incolpare l’altro per non aver fatto una cosa di cui non si sente responsabile. Tutto questo perché manca la motivazione intrinseca (Zamagni docet), il desiderio, l’interesse, la volontà di prendersi a cuore un compito che per me è importantissimo, ma evidentemente non per loro, probabilmente meno ansiosi di mettersi a tavola.
Prendo spunto da quel che accade a casa mia –e i miei ragazzi hanno fama di essere due persone educate, un po’ ‘sdraiati’ ma a modo– per affrontare lo spinoso tema della partecipazione. Quale leva bisogna muovere affinché le persone non si accontentino di fare il compitino, ma si spingano oltre così da fornire quel valore aggiunto (la pentola sul fuoco) che fa la differenza? La leva economica ha lo svantaggio di venire dimenticata dopo poco. Chi non se ne dimentica è il soggetto che la eroga, l’azienda o la mamma, che a fronte di un’uscita di denaro si aspetta un tornaconto. Questo tornaconto però non ci potrà mai essere se la motivazione intrinseca è debole o addirittura assente del tutto. In famiglia ci si arrangia, si fanno anche litigate furiose, ma prima o poi ci si mette a tavola. Forse, se fossi una mamma più capace, sarei riuscita a trovare la leva giusta per instillare una motivazione o perché no, anche un bieco senso di colpa nei miei figli. E invece niente, dal minimo sindacale non ci si schioda. E qui veniamo al punto: il minimo sindacale, la prestazione minima contrattualizzata a fronte della quale si riceve un compenso. Oggi tutto questo non funziona più, delle prestazioni minime le aziende non sanno più cosa farsene. Dove possibile piazzano un robot che dà più certezze e non solleva rivendicazioni di alcun tipo. Tanto per cominciare non si stanca e non crea attese, siamo noi a programmarlo quindi sappiamo esattamente quel che farà.
La vera sfida oggi è circondarsi di persone che apparecchiano la tavola, guardano cosa c’è nel frigorifero, e con quattro uova e due patate ti preparano un’omelette che ti ricorderai per tutta la vita. Certo, non tutti sono cuochi, e qui viene il difficile, perché il capo si gioca tutto. Chi guida un’azienda deve saper intuire le propensioni delle persone, saper tessere alleanze e costruire un gruppo di lavoro in grado di esprimere creatività e innovazione. Un gruppo all’interno del quale le persone abbiano il desiderio di partecipare, al di là dei vincoli organizzativi. Quel desiderio in grado di spezzare per sempre il muro che esiste tra lavoro e vita privata e che, per esempio, muove il nostro Caporedattore Dario a preparare ogni giorno all’alba un’eccellente rassegna stampa… Una barriera che non è stata progettata dalle donne. Per questo, ora che le pareti si stanno sgretolando e l’organizzazione del lavoro prende nuove forme, le donne possono sentirsi un po’ più a loro agio. E dar sfogo a quella motivazione intrinseca che le porta, dopo aver apparecchiato e messo la pentola sul fuoco, a prendere un vaso con un fiore e metterlo in mezzo alla tavola.
Adriana Tono
Carissima Chiara, hai toccato “il sale della partecipazione” lavorativa. Ottimo esempio tratto da vita quotidiana vissuta.
La differenza tra la teoria del premio e quella della reciprocità da “innestare” in una nuova organizzazione del lavoro.
Grazie delle tue buone pillole.
A presto
G. Rizzolo
Un articolo semplicemente fantastico!
Una sintesi chiara, efficace e non noiosa di un aspetto strategicamente nevralgico in ogni campo: la motivazione.