Lavoro poco smart
arianna visentini, Convivio 2019, genitorialità, Irene Tinagli, lavoro femminile, natalità, Smart working
Si torna indietro dal punto di vista culturale. Sul fronte dell’occupazione si penalizzano le donne che vengono segregate in casa, considerate un handicap per l’azienda. La cura dei bambini è una prerogativa femminile: considerare la genitorialità una responsabilità femminile è un grande passo indietro, un’occasione persa e un errore strategico. Considerare le madri ‘categorie protette’ allontana la maturità organizzativa.
Il contributo pubblicato sul primo numero dell’anno di Persone&Conoscenze dedicato a come cambia la normativa che regolamenta lo Smart working trabocca di affermazioni come queste. E non è un bel segnale. Arianna Visentini, grande esperta di questi temi, non usa giri di parole quando dichiara che il provvedimento conferma come il decisore sia estraneo alle dinamiche aziendali, di come sia poco preparato a formulare dispositivi che portino un reale vantaggio alle famiglie italiane. Poco preparato? Avete letto bene. Nel nostro Paese ha trionfato la grande ignoranza, fenomeno che nell’omonimo libro Irene Tinagli descrive molto bene. L’uomo qualunque è diventato un ministro qualunque –ne parlerà anche al nostro Convivio il 29 marzo 2019 a Milano– e il risultato è che la dignità del lavoro femminile viene calpestata. Il Legislatore ha deciso che il datore di lavoro deve dare priorità alle richieste di Smart working formulate dalle lavoratrici madri, svilendo così in un sol colpo l’opportunità per ripensare la cultura aziendale, impostando un’organizzazione del lavoro meritocratica, che si lascia alle spalle tempi e metodi del fordismo. E sottende che la cura del bambino sia una prerogativa tutta femminile.
Se il Legislatore fosse avvezzo a una pratica di buonsenso –come guardare i dati prima di prendere decisioni– saprebbe che la natalità nel nostro Paese è in costante calo e che un modo per incentivarla è promuovere l’occupazione femminile e non già legiferare in modo da evidenziare che la maternità sia sempre e comunque un problema. Ma i nostri politicanti –bravissimi peraltro a distogliere l’attenzione dai problemi seri per concentrarsi su questioni irrilevanti, ma di grande appeal per il grande pubblico– hanno un orizzonte che non va al di là delle prossime elezioni politiche, mentre al Paese servirebbe una politica in grado di guardare a come sarà l’Italia nei prossimi due o tre decenni. E la scarsa lungimiranza può costare cara. In Cina la legge che impedisce alle donne di avere più di un figlio è stata eliminata, ma le donne devono condividere la decisione di avere un secondo figlio con il datore di lavoro, pena il licenziamento. Correre ai ripari è tardi: la legge sul figlio unico ha prodotto squilibri demografici irrisolvibili, gli uomini saranno tra i 20 e i 35 milioni in più nel 2020 e per loro trovare una moglie –e quindi fare figli a loro volta– sarà difficilissimo.
Noi non siamo la Cina, non esiste il problema dell’aborto selettivo, ma abbiamo una folta schiera di rappresentanti del nostro Governo che la Legge 194 la metterebbe in discussione volentieri. Tanto per andare avanti con la riflessione sui passi indietro che stiamo facendo. Tornando al nostro tema, lo smart working per le mamme è un gigantesco balzo indietro per tutti. Così formulata, la norma svilisce una pratica organizzativa che ha come obiettivo non già facilitare la gestione dei figli quanto piuttosto introdurre un cambiamento organizzativo e culturale. Siamo di fronte a norme che minano la dignità delle donne e ne disincentivano l’occupabilità. Cosa deve succedere ancora?