Intervista a Cristina Storer
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Guardarsi dentro. Con onestà
Cristina Storer è una donna che ama i percorsi in salita. Una che non si accontenta e che ama le sfide. Quelle difficili, quelle considerate impossibili per la maggior parte di noi. In famiglia affronta il difficile percorso dell’adozione. Per ben due volte. E per seguire i suoi due bimbi decide di lasciare la dirigenza, ma bastano pochi giorni tra le mura domestiche per farla tornare sui suoi passi da manager. I suoi figli nel frattempo sono cresciuti e oggi la troviamo a capo del Commercial Programs dell’area Software per l’Emea in Rockwell Automation.
Una carriera nel marketing che ha portato la precedente azienda in cui hai lavorato, TXT, a passare da 30,1 milioni a 55 milioni di euro di fatturato dal 2001 al 2007. Come si fa a portare avanti, contemporaneamente, un progetto di carriera e un progetto di famiglia, considerando che il tuo nucleo familiare richiede ancor più dedizione, più tempo ed energie?
Innanzitutto, la conciliazione tra la vita lavorativa e famigliare per una donna è un aspetto da affrontare. E tutto questo si complica quando il percorso professionale presuppone un coinvolgimento mentale e anche emotivo. Perché a certi livelli il lavoro non lo si lascia mai, la testa è sempre impegnata. E certi risultati e certe crescite, in ambienti come il marketing, trovano origine nella tua personale capacità di essere propositivo, di rompere alcuni schemi. Per far evolvere una società, bisogna farle cambiare passo. Pensiamo a TXT che da azienda nazionale è passata a essere una realtà internazionale, con un volume d’affari quasi raddoppiato; per ottenere questi risultati bisogna avere il coraggio di osare. Non basta interpretare la volontà della direzione, essere convinti della visione e della strategia; bisogna dare il proprio personale contributo. Bisogna mettere in pratica le decisioni strategiche e i disegni che sono nella mente della direzione. Dovendo osare, bisogna rielaborare le cose, crederci, essere molto motivati, riuscire a convincere l’azienda e, dopo, il mercato. Sicuramente è questo l’aspetto più difficile e, personalmente, il lato che mi appassiona di più. Questo è il punto debole del mio carattere. Mi piace creare, costruire, affrontare progetti sfidanti. Quando i processi diventano più abituali, mi interessano già di meno.
E nella sua vita, cosa è successo?
È successo che, per mia fortuna, ho cominciato a lavorare in un momento in cui il mercato era assolutamente favorevole, all’opposto di quanto sta accadendo in questi mesi e ho vissuto un periodo in cui sembrava che tutto fosse possibile. Se penso alla mia vita di studentessa e ai primi anni del lavoro, il pensiero ricorrente era migliorare costantemente, con la certezza che il mercato avrebbe riconosciuto le tue capacità. Esisteva una positività di pensiero che stimolava molto. E la scelta dell’adozione, rielaborata a posteriori, coincide con questa mia volontà di affrontare situazioni complicate. La scelta di adottare due bambini rivela questo lato della mia personalità. L’aspetto positivo è che mi è sempre stato possibile calibrare le esigenze del lavoro con le esigenze della famiglia, soprattutto quando i bimbi erano piccoli. Tant’è che, quando avevo deciso di adottare un secondo figlio, ero determinata a non lavorare più. E, allora, ero convinta di questa scelta. Pensavo mi sarei sentita realizzata occupandomi della famiglia.