Dirigenti disperate? Nemmeno per sogno!
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Intervista a Chiara Lupi
Lei cura una rubrica sulla rivistaPersone&Conoscenze intitolata “La sindrome di Bree”, che prende spunto da un personaggio di Casalinghe disperate. Detto altrimenti, perfezionismo ed efficienza: quando queste caratteristiche sono risorse e quando un limite?
La ricerca della perfezione, intesa come attenzione minuziosa per ottenere il miglior risultato, è un valore. La differenza la fanno spesso i dettagli e porre la massima cura in quel che facciamo direi che è un dovere, indipendentemente dal genere. Spesso però le donne pretendono troppo da se stesse e applicano il medesimo rigore scientifico a tutta la sfera delle loro attività, lavorativa e non. Diciamo che peccano nella capacità di fissare scale di priorità e, per non sbagliare, ricercano la perfezione ovunque, in ufficio e in casa, come professioniste, mogli e madri. Un carico insostenibile! Se le donne hanno incarichi manageriali devono imparare a delegare di più tutte quelle attività che riguardano la gestione della famiglia. Nelle nostre aziende abbiamo introdotto l’outsourcing, una sorta di delega per tutte quelle attività non considerate “core”, e cioè strategiche per il nostro business. Ecco, le donne dovrebbero introdurre con più determinazione l’outsourcing anche nel loro privato! Non è pensabile tornare a casa dopo una giornata di lavoro durata oltre le otto ore standard e affrontare il “secondo lavoro” con lo stesso approccio. Le donne devono smetterla di voler competere a più livelli: una manager che affronta con consapevolezza il proprio impegno non può anche essere la mamma che non si perde un consiglio di classe dei figli, tanto per dirne una… Non dobbiamo dimostrare superefficienza, dobbiamo essere efficaci. Contano i risultati, al lavoro e in famiglia.
Tra le storie di donne manager che ha intervistato quale l’ha colpita maggiormente e quale soluzione per conciliare vita professionale e privata le sembra più efficace?
Ogni storia porta con sé qualcosa di unico e interessante. Detto questo ho trovato illuminante l’affermazione “i figli crescono, nonostante i genitori”. Ecco, questa frase dovrebbe essere un faro per tutte le mamme che vivono con ansia il loro essere per molto tempo fuori casa. I nostri figli non hanno bisogno di qualcuno che in modo ossessivo li controlli ma di genitori che li sappiano responsabilizzare. Certo, controllare è più facile ma, in casa come in azienda, uno stile di leadership fondato sul comando e il controllo e uno stile di leadership fondato sulla responsabilizzazione porteranno risultati del tutto diversi. Le due cose sono strettamente collegate. Se nel nostro contesto professionale siamo in grado di costruire un gruppo di lavoro responsabile e autonomo avremo anche la possibilità di gestire con meno ansie il nostro tempo. La “soluzione” per la conciliazione non esiste. Dobbiamo essere capaci di trovare la soluzione che meglio si adatta alle nostre esigenze, avendo ben chiare le priorità cui dedicare sforzi, energie, attenzioni.
Esiste un modello di azienda al femminile?
Dopo aver molto riflettuto, non ritengo sia corretto parlare di azienda “al femminile”. Credo dovremmo essere capaci di impostare modelli organizzativi che rispettino le esigenze di tutti coloro che appartengono al’organizzazione. Fatto salvo che tutti devono tendere all’obiettivo che l’organizzazione si è dato (che sia di business, sociale o altro), dovremmo sempre più ragionare in termini di risultati, personali e di team. Altra cosa è l’attenzione che le aziende pongono alle carriere femminili. Certo in molte aziende, a parità di competenze, si preferisce scegliere il candidato maschio per scongiurare il pericolo maternità. Capisce dove siamo arrivati? Viviamo in un paese dove la maternità è un pericolo, un rischio da scongiurare. E i risultati sono qui da vedere: nelle nostre scuole materne ed elementari tra pochi anni gli alunni stranieri saranno la maggioranza. Ma qui, con grande onestà, bisogna dire che una grande responsabilità ce l’hanno quelle donne che hanno prolungato in modo eccessivo i tempi della maternità contribuendo a creare un immaginario negativo. Ecco, se all’interno delle organizzazioni ci fosse più responsabilità, più attenzione al bene comune, alla condivisione degli obiettivi, sarebbe più facile tener conto delle esigenze di tutti, uomini e donne.
Il gioco dei se non porta a nulla, ma facciamolo lo stesso. Se al posto di Mr Fuld, ceo di Lehman Brothers, ci fosse stata seduta una Mrs Fuld…?
In realtà non si tratta di un gioco. Diversi studiosi si sono cimentati nell’analisi sugli sbalzi dei mercati – l’ultimo studio di cui ho notizia è stato realizzato da un neuroscienziato presso l’Università di Cambridge – e hanno riscontrato che a un aumento del livello di testosterone, l’ormone che regola l’aggressività e la propensione al rischio, corrisponde anche un atteggiamento più aggressivo. Il risultato? Operazioni finanziarie più redditizie, a volte, ma anche meno razionali, più pericolose insomma. Mentre quindi gli uomini hanno una naturale propensione all’azzardo le donne sono più naturalmente portate a risparmiare. Quindi è probabile che se al posto di Mr. Fuld Lehman Brothers fosse stata guidata da una Mrs. Fuld le cose, forse, sarebbero andate diversamente. La motivazione è scientifica, Umberto Veronesi spiega che l’aggressività provocata dagli ormoni maschili era funzionale alla sopravvivenza della specie; ora però tutta questa aggressività non serve, la forza fisica non è più un prerequisito nemmeno per svolgere professioni fino a poco tempo fa appannaggio del mondo maschile. Ma il professore si spinge anche oltre, dicendo che il futuro è donna, perché l’abilità tutta femminile di ricercare la mediazione, di risolvere i problemi senza ricorrere ai conflitti rappresenta la condizione imprescindibile per garantire il progresso delle civiltà. L’atteggiamento di chi dà la vita è naturalmente portato alla “costruzione” e non alla distruzione. Ecco perché servono le donne. Ne servono di più. C’è da riflettere…