Donne in carriera: solo dolori e fatica?

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Di Cecilia Valle

Dopo il grande successo della serie tv americana “Desperate Housewives”, tante casalinghe italiane si sono sentite ancora più disperate di quelle impersonate da bellissime attrici americane nella loro villetta con giardino e fuoristrada d’ordinanza. La perfezionista Bree, anima conservatrice e puritana della vecchia tradizione americana porta il povero marito, chirurgo stanco della routine e della perfezione maniacale della moglie alla fuga dal tetto coniugale. D’altronde per Bree Van de Kamp è decisamente più importante lo status sociale rispetto alla perdita della persona amata .


È interessante notare come anche le altre “eroine” Susan, Gabrielle e Lynette vivono, chi per un motivo o per un altro, un’angosciosa esistenza quotidiana fatta di shopping e di capricci da diva ex modella di alta moda (Gabrielle); chi sempre sfortunata e maldestra cerca di conquistare uomini che puntualmente, in un modo o nell’altro, in maniera quasi masochista fa fuggire da lei (Susan); o chi invece brillante manager deve ingegnarsi tra vita privata e vita professionale ( Lynette ).
E chissà quante donne manager italiane si saranno identificate con questa vera e propria “eroina” che, quotidianamente, deve barcamenarsi tra la dura vita della mamma di figli piccoli e pestiferi (i tremendi gemelli) e una professione che le occupa buona parte della sua giornata.
Qualora Lynette non avesse ispirato a sufficienza le mamme manager italiane, consigliamo il libro di Chiara Lupi: “Dirigenti disperate” edito da Libri Este, in cui la giornalista, anche lei alle prese con il binomio terribile famiglia / carriera, si domanda quanto sia complicato oggi per una donna, conciliare la propria vita manageriale con il ruolo di mamma.
È interessante analizzare come nel nostro Paese, a differenza di altre nazioni europee come Francia e Germania, non esista una reale politica di aiuto alle famiglie, dove le mamme che lavorano spesso si trovano di fronte ad un bivio che deve, giocoforza, portarle a decidere se intraprendere l’attività di mamma, rispetto a quella di manager d’azienda.
Perché le donne italiane non possono decidere di non dover sacrificare una cosa a cospetto dell’altra?
È un problema di cultura all’interno del nostro sistema Paese?
Nei paesi scandinavi le donne al potere sono in percentuale quasi uguale a quella degli uomini, realtà che non vale per il nostro paese, dove la donna viene considerata ancora “l’angelo del focolare domestico” .
E se volesse decidere di intraprendere la carriera manageriale riuscirebbe anche ad avere una vita familiare fatta di maternità e di tempo da dedicare ai propri figli?
Sarebbe una moderna eroina dei nostri tempi frenetici che Chiara Lupi racconta in maniera divertente, raccontando gli slalom difficoltosi che questa scelta porta e, di conseguenza, vede donne alle prese con documenti, relazioni, riunioni con i presidenti di multinazionali e con i vari colloqui con le maestre, gli insegnanti e gli istruttori di qualche sport che faremo intraprendere a nostro figlio. Un caos, in definitiva.
Non vogliamo che a queste mamme che decidono, in maniera davvero eroica, di non rinunciare né alla sfera privata, né a quella professionale, fosse solo regalata una statua al merito con un valore tangibile pari allo zero, a discapito di serie politiche legislative che portino l’Italia, finalmente, in linea con molti altri Paesi europei che in questo campo sono distanti anni luce.
Questa rimane una continua illusione o una possibile realtà?
Giriamo il quesito (uno dei tanti) a chi ci governa.

 (pubblicato su flipmagazine.eu)

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