Che modello siamo?
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Il lavoro delle donne fa sempre notizia. Si moltiplicano iniziative, libri, blog, forum per dibattere del lavoro delle donne, che non riescono a essere anche mamme, che non riescono a conciliare famiglia e carriera. Come ho già detto altre volte, io che ne parlo da tanti anni vivo con la sensazione di avere esaurito gli argomenti. Poi mi viene in mente che ora che il problema della conciliazione non è più per me così pressante – chi mi segue sa che i miei ragazzi sono ormai grandi – penso che potrei io per prima cambiare tono e parlare da mamma sopravvissuta. Sopravvissuta alle baby sitter che si ammalano, alla recita della scuola alla quale arrivi in ritardo sperando che tuo figlio non se ne accorga, al ricevimento della comunione preparato il giorno prima non si sa come e anche alla consegna delle pagelle. Ore in fila davanti alla classe per l’ultimo colloquio con maestre prima e professori poi. La mamma che è andata scappando tutto l’anno non potrà mancare l’ultimo, definitivo appuntamento con il suo dovere di genitore presente… E invece succede di arrivare alla consegna delle pagelle implorando che le mamme in fila davanti a te ti lascino passare perché di li a poco inizia un convegno al quale devi assolutamente arrivare in orario… È successo, e siamo tutti ancora vivi.
Il tema per il quale non si trova una soluzione è la conciliazione, l’equilibrio dei tempi di vita e del lavoro. Perché le donne hanno ancora sotto la loro responsabilità la gestione della famiglia, della casa e dei figli. Certo, nelle giovani coppie qualcosa è cambiato, ma se tanto se ne parla significa che così bene le donne che lavorano non stanno. Tanti sono i mariti, compagni, fidanzati che si danno da fare ma per molti ancora la gestione della casa è affare delle donne. Anche per colpa delle donne, che non delegano, che si sentono spesso le regine della casa senza accorgersi che a furia di alimentare questo delirio di onnipotenza casalinga di regale rischiano di avere ben poco (il tempo per il parrucchiere, dove lo trovano? Così, tanto per fare un esempio…). Aumentano i casi di mariti dedicati full time alla famiglia, anche il marito della nostra lady Pesc Federica Mogherini, nominata qualche settimana fa Alto rappresentante per la politica estera e di difesa dell’Ue, pare abbia fatto outing rivelando di occuparsi pressoché prevalentemente alla famiglia. Nel mio libro Ci vorrebbe una moglie ho affrontato già oltre due anni fa il tema degli Stay at Home Dad, uomini che decidono di stare a casa per agevolare la carriera della moglie. Anche questa mi pare un po’ una forzatura, il sistema dovrebbe sostenere il lavoro di tutti, ma in questi casi ci troviamo di fronte a scelte molto personali, nel merito delle quali non voglio entrare ora.
Ma torniamo a me. Dicevo, siamo rocambolescamente sopravvissuti a momenti difficili. Ma che messaggio ho dato ai miei figli? Si ricorderanno solo la mamma sempre fuori, sempre al telefono, sempre con il pc acceso anche a casa o avranno assimilato anche dell’altro? Ma soprattutto, che uomini saranno? Ecco, questo il tema. Noi, mamme imperfette, che messaggio abbiamo trasmesso? Che modello siamo state? In questi lunghi anni nei quali è stato complicato tenere insieme i pezzi del puzzle è stato chiaro che non c’era qualcuno al servizio di qualcun altro. Certo alla mamma piace fare la mamma, le attività che rientrano nelle sfere della cura ci soddisfano, ma è importante alimentare il concetto che la famiglia è una squadra, e in una squadra ognuno deve avere un ruolo. O quantomeno essere pronto a entrare nel ruolo dell’altro. Per dire, la mamma carica la lavastoviglie alla sera, ma se ha altro da fare resta inteso che non esiste una forza sovrannaturale che sposta i patti dal tavolo all’elettrodomestico. Quindi qualcuno che non è la mamma deve sentirsi responsabilizzato. E farlo. Solo se innesca questo meccanismo di responsabilizzazione potremo contare domani su persone più consapevoli, e magari i giornali non riporteranno più notizie di clamorosi sbilanciamenti nelle ore dedicate dalle donne alle attività di cura.
Quest’estate sono partita per il mare lasciando l’adolescente con l’ormone impazzito – ormai i lettori di questa rubrica identificano così mio figlio Andrea – a casa da solo. Sono tornata a Milano un pomeriggio e quando sono entrata in casa l’ho trovato che aveva appena terminato di svuotare la lavatrice. Stava stendendo. Sono tornata al mare felice.
paolo canal
Ho sempre pensato che i ragazzi e le ragazze, sia pure in preda agli ormoni impazziti e che conosco bene da insegnante, sono in realtà molto migliori di quanto si attendano i genitori.
Che questa sfiducia dei genitori non sia per caso un sintomo del bisogno dei genitori di pensare che i figli hanno pur sempre – e: per sempre- bisogno di loro. Su questa pista interpretativa mi pare si muova, almeno in parte, anche il film su Leopardi, quando disegna i rapporti tra il giovane Giacomo e il conte padre.