DIRIGENTI DISPERATE – di Marina Terragni
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“Mi sento chiusa in un bozzolo”, dice Sara. “E io a un bivio” risponde Claudia. “Temo che la mia energia interiore si stia esaurendo” dice Paola. E Angela: “Non so se ho lottato per obiettivi miei…”. Non è una seduta di autocoscienza d’antan, ma un coaching per signore manager. “Esperienza” la chiamano gli organizzatori di Edò, società di formazione.
Sono una dozzina, tutte top e middle manager: Fiat, Unilever, Pirelli, Samsonite. Dirigenti disperate (rubo il titolo di un libro di Chiara Lupi, manager anche lei), che per cominciare risvegliano le energie con un po’ di ginnastica nella Spa del resort sul lago di Varese. Poi, guidate dal coach (maschio sensibile e accorto), snocciolano tutte quelle domande per le quali non hanno mai avuto tempo. Perché erano in riunione, o troppo prese dalla mission aziendale, o stavano lottando per non essere fatte fuori. Perché –nel loro mondo duplex– stavano telefonando alla pediatra, trattando con l’idraulico, provando a salvare il loro matrimonio dal logorio della vita multitasking (a differenza dei colleghi maschi, le manager non hanno mogli su cui contare). Con il rischio di confondere i registri, mamme al lavoro e dirigenti a casa: non è strano che tra i manager i divorzi siano aumentati del 60 per cento.
Parlando di sé una scoppia in un pianto improvviso. La sua vicina singhiozza anche lei. Ma come… “Sono piene fin qui” bisbiglia il coach. “Sature. Capita sempre. Non ne possono più”. Signore grintose e super-preparate, altro che hosewives, obiettivi di carriera pianificati e raggiunti, posizioni prestigiose, sulla soglia della stanza dei bottoni. Eppure si disperano.
Per le donne sarebbe un gran momento. Quello del raccolto, se Dio vuole. Negli Usa c’è stato il sorpasso: più donne al lavoro che uomini. In Italia il 2009 ha visto nascere 20 mila nuove imprese femminili. Verificata una volta per tutte l’equazione + donne = + business: le aziende con vertici anche femminili offrono le performance migliori e un +70 per cento in Borsa (McKinsey). La differenza produce valore. Il termine womenomics è ormai entrato a far parte del lessico dell’economia e della finanza. Eppure i Cda restano tenacemente in cravatta e grisaglia: da noi ci sono 5 consigliere ogni 100 uomini, e il Cda di 6 aziende su 10 è tutto maschile (meglio non farle circolare troppo, certe imbarazzanti foto dei board…). I signori manager –l’87 per cento-, resistono all’evidenza. Il profitto avrà le sue ragioni, ma tra uomini si sta più tranquilli: almeno qui, lasciateli in pace! Forse workshop, seminari e danze rituali dovrebbero farli loro, per prepararsi al faticoso ma inevitabile cambio di paradigma: dall’uno all’inedito, vertiginoso due.
Ore 11.00, dopo il coffee break: “Non abbiate paura del vostro femminile!” implora il coach. “Non copiate il modello maschile! Date a noi uomini il tempo per abituarci”. Sembra di sentire Niall Fitzgerald, già ad di Unilever e oggi vicepresidente di Thomson Reuters, colosso dell’informazione economico-finanziaria: “Il mio consiglio è: non cercate di sviluppare qualità maschili proprio nel momento in cui stanno prendendo quota quelle femminili. Rimanete voi stesse e sollecitate gli uomini ad adottare modelli di comportamento diversi”.
Non è un’impresa da poco. Può voler dire un’altra idea del lavoro, della sua organizzazione, dei suoi tempi, con novità stravolgenti tipo flessibilità, house working e postazioni in remoto, altri linguaggi, più relazioni, meno gerarchia e più networking. Può voler dire lavorare per obiettivi chiari in tempi definiti (indicatori di output), e non piegarsi più alla logica della “disponibilità illimitata della risorsa”, come si dice in gergo: ovvero in ufficio ad libitum per fare carriera, magari a far niente ma presidiando la posizione (indicatori di input), ostaggi di quei “ladri di tempo”, come li chiama qualcuna, che ti organizzano riunioni alle sette di sera solo perché “loro a casa non ci andrebbero mai”. Anche i maschi più giovani, del resto, e non solo le donne, non sono più disposti a vivere così.
E ora raccontatemi un vostro obiettivo, invita il coach. “Bere più acqua”. “Basta dolci”. “Per un’ora niente BlackBerry” (wow!). “Non cedere ai persecutori” (aiuto!). Lella Golfo, deputata Pdl e presidente della fondazione Marisa Bellisario, è prima firmataria di una proposta di legge per il riequilibrio dei generi nei cda delle società quotate in borsa. Dice che in effetti “oggi gli uomini tendono a porsi sulla difensiva. Ci sono segnali di forte dialettica”. Anche Paola Pesatori, HR manager di Pirelli, racconta un clima da contrattacco: “La crisi sta costando più alle dirigenti” dice “che alle lavoratrici in genere. In molte aziende si gioca un po’ subdolamente sul work-life balance: ma perché, si dice alle dirigenti, non te ne vai finalmente un po’ a casa, a fare tranquillamente le tue cose?”. In soldoni, trattasi di potere: una in più fa uno in meno. Il nodo è al pettine, e non si fa districare. La patata è bollente, e scotta nelle mani delle manager.
Ore 15.00, dopo il lunch: i vostri leader ideali? chiede il coach. Gesù, Giovanni Falcone, mia madre; un mio ex-capo, Giovanni Paolo II e il Dr House, “che alla fine arriva con la sua zampata di genio”. E ora ditemi, continua il coach: assoluto divieto d’accesso a… “Ai capi che entrano nella tua vita privata” dice Mariella; Claudia: “A quelli che non sanno gestire il loro tempo e invadono il tuo”. E un’altra: “Al mio ex-capo che mi ha tolto ogni giorno un pezzetto di autostima”. E’ guerra?
Monica Possa, direttore Risorse umane e organizzazione di Rcs Mediagroup, è indicata dalla Professional Women’s Association tra le 70 manager italiane titolate a entrare nei Cda. Fino a un certo punto della sua carriera ha creduto che le capacità e il merito potessero sbaragliare ogni ostacolo. Ma dopo anni di esperienza sul campo –e un bambino, che per una donna resta la super-esperienza- si è arresa all’evidenza che “senza una scossa al sistema non cambierà mai nulla. Senza azioni positive, con un preciso target numerico, tutto resterà com’è”.
Diamo alle cose il loro nome: senza un po’ di conflitto, un briciolo di sex-war… “Imporre quote” continua Possa “può essere un gesto conflittuale. Ma non è detto che ci sia solo questo. Nelle aziende esistono anche uomini non insicuri, che non si fanno spaventare dall’idea del cambiamento, pur con le fatiche che comporta. Uomini capaci di passare da un rassegnato “c’è bisogno delle donne” a un convinto “ho bisogno che ci siate”. Trovare interlocutori come questi può dare grandi risultati”.
(pubblicato su Maschile/Femminile – il blog di Marina Terragni, Io donna-Corriere della Sera)