Discriminazioni da Oscar
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Il campo di gioco deve essere orizzontale, garantire uguali opportunità a tutti. E invece non è così. In molti paesi alle donne non è consentito esprimere il loro potenziale; in troppi paesi le donne non possono essere soggetti economicamente attivi. Con danni misurati dal Fondo Monetario Internazionale. Christine Lagarde, che ne è a capo, usa toni duri, parla di complotto contro le donne. Certo, i numeri non lasciano spazio a interpretazioni. Considerando quel che accade in 40 nazioni, la discriminazione contro le donne fa perdere oltre il 15% del Pil. Le percentuali vanno dal 5% negli Usa al 9% in Giappone, al 12% negli Emirati Arabi fino al 34% in Egitto. L’Italia si attesta a un 15%, una percentuale più che onorevole, che ci garantisce un’ottima posizione tra i paesi considerati arretrati. Certo, nel nostro Paese non ci sono per le donne veti per l’esercizio di professioni o per il diritto alla proprietà, ma tante, troppe donne si accontentano e si rassegnano a non poter esprimere il loro potenziale accettando soluzioni di ripiego, ‘al ribasso’. Questa rassegnazione ha un prezzo che il FMI ha quantificato in novemila miliardi di dollari, a tanto ammonta la ricchezza non realizzata da questo esercito di rinunciatarie. Certo, finché anche i salari non saranno uguali, il lavoro femminile sarà sempre considerato meno conveniente. Un grido di dolore è arrivato anche da Patricia Arquette nella notte degli Oscar. Premiata per il suo ruolo in Boywood, ha consegnato all’America un messaggio politico: la parità dei salari deve essere un diritto per tutte le donne americane. La speranza è che l’attenzione mediatica che Hollywood catalizza su di sé si traduca ora in qualche azione positiva in un contesto – quello americano, ma siamo pur sempre occidentali – dove un direttore del personale, di fronte ai curricula, premia ‘automaticamente’ i maschi. Un avverbio inquietante, scelto non a caso da Federico Rampini per raccontare il caso sulle pagine di Repubblica. Ma, sempre dall’America, devono arrivare le grandi speranze. Gli Stati Uniti sono stati capaci di eleggere il primo presidente di colore. Speriamo nel 2016 eleggano una donna. Christine Lagarde ringrazierebbe. E noi pure.
paolo canal
Io speravo fosse donna il nuovo Presidente della repubblica. L’elezione di Obama, tuttavia, pone un problema: mi pare di aver letto che uno dei fattori del suo crollo elettorale, con la perdita della maggioranza in entrambi i rami del parlamento, sarebbe stato proprio la delusione per le sue politiche sociali delle minoranze di colore. Quesito: una presidente donna saprebbe valorizzare le donne?
djoy
La questione, purtroppo, non è solo economica. Senza andare lontano, rimanendo in Italia, e senza entrare nei palazzi del potere: i salari inferiori sono il male minore considerando donne costantemente sottomesse, consapevolmente o meno, alla ‘parole del maschio’. Come nelle case in cui se il papà alza la voce tutti allora si zittiscono, e si fanno andare bene tutto o peggio giustificano chi le ‘abusa’ in qualsiasi modo. Io credo che prima delle remunerazioni paritarie ci sia bisogno di donne più coraggiose. E purtroppo sono davvero poche: quelle che non lasciano che le cose vadano da sole, non si lasciano intimorire dalle voci grosse, non lasciano che la propria intelligenza venga schernita, non permettono a nessuno di infangare i propri valori. E, senza quelli, non si va da nessuna parte. Il cambiamento -necessario- è epocale, è nella testa e nella vita quotidiana di ognuno: ci vuole coraggio per cambiare, a qualsiasi età. In caso contrario è meglio poi non lamentarsi, se non si fa niente per migliorare.