Famiglia o carriera, figli o successo?
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Intervista a Chiara Lupi
Chiara Lupi si è costruita una solida esperienza di giornalismo business-oriented collaborando per un decennio con quotidiani e testate focalizzati sull’innovazione tecnologica e il governo digitale. Dal 2006 è direttore editoriale della casa editrice Este, specializzata in edizioni dedicate all’organizzazione aziendale. È direttore di Sistemi&Impresa, rivista che declina il tema dell’innovazione organizzativa dal punto di vista della sua effettiva implementazione in azienda, in connessione con i sistemi tecnologici e logistici. Si occupa anche del coordinamento editoriale di Persone&Conoscenze, rivista rivolta a chi gestisce professionalmente le risorse umane, dove pubblica una rubrica dedicata al management femminile che ha ispirato il libro “Dirigenti disperate”.
Dottoressa Lupi, partiamo dal titolo del libro, “Dirigenti disperate”: è davvero così difficile per una donna conciliare ambizioni personali e famiglia?
È una sfida dei nostri tempi. Intraprendere un percorso di carriera implica dedizione, impegno, sacrificio. La famiglia altrettanto. È importante fare, consapevolmente, delle scelte. Privarsi dei sensi di colpa e rendersi conto che non si può far tutto. Posto che il tempo dedicato al lavoro è molto, le aziende per cui lavoriamo sono sempre più demanding. Siamo misurati tutti, uomini e donne, sui risultati che portiamo, dobbiamo rinunciare a dedicarci ad attività che molto hanno a che fare con la nostra identità femminile. Mi riferisco ad esempio alla cura della casa. Le donne devono imparare a fidarsi delegando lavori che rubano energie e, col tempo, responsabilizzare i figli rendendoli più autonomi.
Lei quanto si sente “disperata”?
Il titolo del libro porta con sé il senso con il quale ho affrontato questo percorso. Le donne, secondo me, devono prendersi un po’ meno sul serio, disperarsi un po’ meno se non riescono a far funzionare tutto come vorrebbero. Io non mi sento disperata perché, consapevolmente, avendo dei figli e un impegno professionale totalizzante, ho rinunciato ad avere del tempo per me. Almeno in questa fase della vita in cui i miei figli hanno più bisogno della mia presenza.
Ci spiega cos’è la “ricerca della conciliazione”?
Quando si ha un lavoro che richiede un impegno che va ben al di là delle classiche 9-18, conciliare significa portare avanti il proprio percorso professionale riuscendo a presidiare tutto ciò che riguarda la sfera familiare. Potendo contare su aiuti e su una rete familiare a supporto, conciliare significa riuscire, pur dedicando la maggior parte delle nostre energie al lavoro, a stare vicino alle persone che hanno bisogno di noi. Non facendo mai mancare loro il nostro supporto.
Le statistiche dicono che in Italia il 20% delle donne lascia il lavoro dopo il primo figlio. Lei di figli ne ha due ma non ha abbandonato la carriera. Si era preparata in qualche modo all’impatto della nuova “doppia vita”?
Nel mio caso la maternità non ha interrotto la mia carriera. I miei figli – se consideriamo l’età media delle primipare nel nostro Paese – sono nati quando ero giovane, avevo da poco terminato l’università e non mi ero ancora buttata a capofitto nel lavoro. Oggi è più naturale che i figli arrivino più tardi, nel bel mezzo di un percorso di carriera. Ma, come dimostrano le testimonianze del libro, se c’è la determinazione a portare avanti un progetto professionale, ci si organizza. E le donne sono maestre in questo.
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