Il multitasking diventa zen
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Nella rubrica del numero di gennaio/febbraio della nostra rivista Persone&Conoscenze Lauro Venturi ci regala una preziosa riflessione che si apre con un interrogativo: perché fare due cose alla volta? La mia riflessione in questo 8 marzo parte da qui.
Noi donne, orgogliose paladine del multitasking, secondo me, sbagliamo prospettiva. Perché pretendiamo, con pervicace ostinazione, di rispondere a un’altra, fuorviante, domanda. Come si fa a fare due cose alla volta? La risposta per noi è un godimento: siamo abituate, sappiamo gestire più cose insieme, abbiamo questa straordinaria capacità di individuare le priorità gestendo il nostro ‘tutto’ con un’abilità organizzativa da fare impallidire i guru dell’organizzazione aziendale. Ma torniamo a Lauro e alla sua riflessione sulla panchina che consente di pedalare mentre stai seduto. Se stai seduto, e hai desiderio di fermarti, per quale motivo devi metterti a pedalare? Un ossimoro. Se pedali, non ti fermi. Quindi perché sederti sulla panchina? Questa ossessione del ‘fare’ che dimentica l’’essere’ è il problema dell’occidente. Nella mentalità orientale non ‘fai’ una cosa, ‘sei in’ una cosa, e se sei in una cosa non puoi essere in un’altra. Al punto che svanisce la riflessione conscia su quello che stai facendo e la cosa sembra farsi dal sola. Questa la base dello zen, ed ecco forse la ragione per la quale gli orientali sono così bravi a fare le cose in modo preciso. Riporto una parabola che spiega il concetto:
Un mattino di buon’ora un novizio arriva al nuovo monastero a cui è stato assegnato e va a presentarsi all’abate. Per fare bella figura, pensa di chiedergli la sua opinione sull’essenza dello zen.
“Maestro, cos’è per voi lo zen?”, chiede il novizio.
“È mattino: fai colazione”, risponde l’abate.
“Ho già fatto colazione, maestro. Dunque, ditemi: cos’è per voi lo zen?”, insiste il novizio
“Se hai già fatto colazione, va’ e lava la tua tazza”, risponde l’abate, e se ne va.
Parto da questa riflessione perché, con ragionevole senso critico, noi donne dovremmo riflettere su questa presunta capacità. Innanzitutto perché non fa bene alla salute. Fior di neuroscienziati (maschi, vabbè, nessuno è perfetto…) sostengono che il nostro cervello non è programmato per fare più cose insieme con il risultato che il multitasking ci rende meno efficienti. E poi, alla lunga, continuare a girare il sugo mentre gestiamo una conference call, non provoca ansia? La risposta è affermativa, e anche in azienda il livello di stress deve essere tenuto sotto controllo: a partire dal gennaio 2011 le aziende sono obbligate a fare una valutazione dello ‘stress lavoro correlato’. Come dire, attenzione alle performance ma anche al benessere psicofisico; se manca quello, addio risultati! Ma torniamo alla panchina di Lauro. Sul numero di marzo di Persone&Conoscenze la storia di copertina sarà dedicata al lavoro femminile e qualche provocazione mi sento di lanciarla. Se anche noi donne abbiamo questa capacità di fare più cose insieme, se siamo bravissime a gestire la conference call mentre allattiamo il bambino o cerchiamo di non far attaccare il ragù, siamo sicure che tutto questo abbia davvero un senso? Non sarà che tutto questo ‘fare’ non sottenda l’incapacità di ‘organizzare’? Non sarà che preferiamo fare ostinatamente tutto noi perché fare è straordinariamente più facile che non organizzare il lavoro degli altri? È vero che riuscire a gestire più cose insieme ci consente di conciliare meglio il lavoro con la vita privata, ma se chi vivesse con noi, finalmente, condividesse appieno le responsabilità, forse, non saremmo costrette a girare il sugo mentre allattiamo. Anche perché questo concentrarsi su tante cose contemporaneamente rischia di farci perdere di vista le cose importanti: la retribuzione, ad esempio. Il Italia il salario delle donne è più basso rispetto ai colleghi, con il medesimo inquadramento, titolo di studio, età. Una differenza che vale oltre 3.000 euro l’anno. Ci può consolare il fatto che, se il nostro differenziale retributivo si attesta intorno al 10% annuo, i principali paesi europei si posizionano ben al di sopra di questa percentuale con una media del 16% circa. Una consolazione che non dovrebbe distrarci dal problema. Se siamo brave a fare molte cose dobbiamo sviluppare la capacità di negoziare la retribuzione. Gli uomini lo sanno fare benissimo. Prendiamo lezioni da loro (e mentre siamo a lezione non facciamo la lista della spesa).
Le mie riflessioni sono innanzitutto autocritiche. Ho passato anni scolando la pasta al telefono, mandando mail mentre attendevo di parlare con i professori, arrivando trafelatissima al ritiro della pagella. Guardando indietro mi chiedo se avrei potuto vivere meglio. Avrei potuto gestire il mio quotidiano in maniera meno schizofrenica? La risposta è certamente sì. Forse, anche l’età regala consapevolezza. Vivere in un frullatore non consente di approfondire, non fermarsi mai non permette di guardare con senso critico quel che si fa. Senza contare che, sempre per riportare il pensiero dei guru, il multitasking esaurisce le funzioni cerebrali. Insomma ragazze, la tecnologia è collaborativa, nel senso che ci consente di gestire il lavoro anche se non possiamo essere vicino ai colleghi. Ma un conto è avere strumenti per organizzarci, cosa diversa è fare tutto per non organizzare. I miei figli nel frattempo sono cresciuti, e dicono che una vita come la mia non la vorrebbero. Ragazze, mamme di figli piccoli, meditate.