Oscar Giannino e l’uguaglianza nel mercato del lavoro
Agenda di Lisbona, conciliazione, cura, donna, Intelco, lavoro, maria chiara franceschetti, organizzazione, Oscar Giannino, outplacement, Paola Agnese Crespi, riforma del lavoro, riforma Fornero, risorse umane, scelta
Servizi per l’Amministrazione e la gestione del personale. Questo fa la società bresciana Intelco. Ma cosa significa, oggi, anche alla luce della riforma Fornero amministrare e gestire il personale? Chi guida l’azienda si interroga, al di là della quotidianità del business, e organizza un evento dedicato a lavoro, mercato e risorse umane. Ospiti due direttori del personale, Maria Chiara Franceschetti di Gefran e Paola Agnese Crespi della Casa di Cura Ancelle della Carità – due donne, niente succede per caso – e Oscar Giannino. Le prime riflessioni prendono spunto dagli effetti della riforma Fornero sulla gestione delle persone. Si parla di limiti del contratto ‘dominante’, quello a tempo indeterminato: le imprese, soprattutto quelle più piccole, schiacciate da vincoli e costi che il rapporto a tempo indeterminato porta con sé, potrebbero decidere di diminuire la loro ricettività nei confronti di competenze che, con un contesto più flessibile, potrebbero invece decidere di portare ‘a bordo’. Oscar Giannino va oltre la legislazione e ci regala uno scenario di quel che a suo modo di vedere significa ‘gestire’ le persone. Non solo in azienda. Ma anche nella vita. Quattro sono i punti che emergono dal suo ragionamento, che parte dall’idea che non dovremmo fare l’errore di perdere la visione del futuro. Come genitori, innanzitutto (e qui mi sento chiamata in causa). Mancano nel nostro Paese strumenti interpretativi sulla domanda di occupazione. I genitori lasciano che i figli seguano le loro inclinazioni senza alcuna coscienza critica su come quelle inclinazioni, se anche correttamente supportate da un percorso formativo eccellente, potranno in un futuro tradursi in un’occupazione che consenta loro di radicarsi nella struttura produttiva. Da qui il primo scollamento tra formazione e mondo del lavoro. Altro problema: l’assenza di un canale che intrecci domanda e offerta. Le nostre imprese, soprattutto nel nord-est, mostrano segnali di vitalità ma il sistema, fino a oggi, non ha stimolato chi perdeva un lavoro a trovare una nuova occupazione. E qui Giannino porta i dati: 700 imprese hanno raggiunto il settimo anno di cassa integrazione. Dov’è il senso? Perché non riusciamo ad avviare politiche di outplacement efficienti? Queste competenze sono in capo alle Regioni. Le cronache di questi giorni spiegano da sole l’inefficienza del sistema. E veniamo al terzo tema, la gestione del capitale umano. Come si gestisce, indipendentemente dalle dimensioni dell’impresa? La parola chiave è coinvolgimento, elemento centrale di una strategia di creazione di valore. È urgente immaginare una modalità nuova di rapporto con le persone che preveda la condivisione di nuovi spazi – e qui Giannino si riferisce alle opportunità del web – che accorcino le distanze all’interno dell’organizzazione. La gestione del capitale umano nelle aziende deve portare a una rivoluzione nel risultato. Questa la sfida dei responsabili del personale: creare un clima di fiducia in cui l’uomo, al centro, contribuisce alla creazione di un valore collettivo. Infine l’ultimo, e dal mio punto di vista più interessante, punto di argomentazione. L’aumento della partecipazione al mercato del lavoro di giovani e donne. Nell’articolo 2 della nostra Costituzione viene riconosciuto il valore del singolo individuo e la possibilità che possa sviluppare pienamente la propria personalità, che possa fare le proprie scelte. Ma nel mondo del lavoro questo non avviene, giovani e donne non sono uguali e dovremmo tutti impegnarci per cambiare i presupposti perché lo diventino. Sulle donne grava ancora pesantemente il peso del lavoro di cura delle famiglie e gli strumenti di conciliazione sono praticamente assenti. Risultato? Il nostro tasso di natalità è tra i più bassi dell’Unione Europea e il tasso di occupazione femminile è lontanissimo dagli obiettivi fissati dall’Agenda di Lisbona all’inizio del nuovo millennio. Eppure incentivare il lavoro dei giovani e delle donne si potrebbe. Basterebbe differenziarne il peso fiscale e contributivo. La ricetta sembra semplice. Ma, come spesso accade, le soluzioni più semplici, che spesso sono anche le migliori, non vengono mai prese in considerazione.
Mariachiara
“Questa la sfida dei responsabili del personale: creare un clima di fiducia in cui l’uomo, al centro, contribuisce alla creazione di un valore collettivo. Infine l’ultimo, e dal mio punto di vista più interessante, punto di argomentazione. L’aumento della partecipazione al mercato del lavoro di giovani e donne.”
Si parla da tanti anni, nelle aziende, di intangible asset, che sono poi le persone, ma purtroppo gli imprenditori quando si parla di persone non sono inclini a considerare i seguenti fattori:
– un migliore clima aziendale aumenta i risultati delle performance;
– la formazione continua che serve sia all’azienda, perchè le sue risorse diventano eccellenti, sia ai dipendenti che sono più soddisfatti quando riescono a fare le cose meglio, non è uuna perdita di tempo;
– la flessibilità del lavoro non significa lavorare meno, ma semplicemente ottimizzare il tempo dedicato al lavoro.
Questi sono solo 3 punti di un elenco molto più lungo che quando si tratta di riorganizzare un’azienda, non viene mai preso in considerazione.
Le prime azioni che si vedono sono sempre i tagli del personale e tra le prime a essere licenziate sono le donne.
Durante gli ultimi mesi mi sono trovata a conoscere almeno 10 colleghe della mia stessa età lasciate a casa dopo anche 15 anni di lavoro nella stessa azienda.
Alcune di loro non trovano perchè considerate troppo qualificate (anche questo è un problema) ma la maggior parte a parità di qualifiche vengono scartate a favore di colleghe più giovani che costano meno, ma di sicuro non hanno la stessa esperienza!
Il valore delle risorse con esperienza e qualifiche, quindi il famoso intangible asset, sembra che sia sempre sacrificato a favore di un investimento economico minore.
Finchè gli imprenditori ragioneranno con queste logiche, non cambierà nulla.