Intervista a Cristina Storer
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Cos’è cambiato nel suo disegno?
Dopo venti giorni passati a casa a seguire il secondo figlio, sono arrivata alla conclusione che sarebbe stato molto meglio se fossi tornata a lavorare. La dimensione della vita proiettata all’esterno a me serve moltissimo, non tanto in termini di gratificazioni quanto in termini di canalizzazione delle energie. Mi sono resa conto che concentrandomi solo sui bimbi li avrei distrutti. Le aspettative, le richieste, le attese rischiano di diventare tali e tante che si finisce per riporre sui figli attenzioni e pressioni eccessive. Facendo loro più male che bene. Con molta onestà ho capito che sarebbe stato meglio ricavarmi uno spazio all’esterno, cercando di far combaciare i miei impegni con gli orari in cui i figli erano all’asilo. Poi con gli orari della scuola e poi man mano ho potuto dedicare alla mia professione sempre più tempo. Considera che quando ho deciso che noi avrei più lavorato ero già dirigente. Ho lasciato la dirigenza e ho poi ricominciato a lavorare facendo consulenze. Mi sono ricostruita con il tempo tutto il percorso, ho riconquistato la dirigenza, la direzione marketing. Con molta tranquillità, serenità e anche grande fiducia nelle mie capacità.
Pensare di non farcela è una costante tutta femminile. Come nel marketing, così anche nella vita, ha sovvertito degli schemi?
Devo dire che nel momento in cui avevo deciso di lasciare la dirigenza, a 38 anni, sono stata molto criticata. Ma per onestà, per riuscire a fare i conti con me stessa, sapendo che non potevo prevedere quanto tempo sarei stata in Brasile prima di poter tornare con il mio bambino e che tipo di situazione avrei dovuto affrontare una volta tornata, mi era sembrato più onesto lasciare il posto per potermi occupare totalmente all’adozione. I comportamenti femminili sono spesso legati a condizionamenti che sono retaggio della storia, per cui in certi ambiti non siamo sicure di riuscire a fare e a fare bene. Ma io sono assolutamente consapevole del fatto che le nostre capacità sono allo stesso livello di quelle degli uomini, e in certi ambiti anche superiori, anche se la società spesso non lo riconosce. È sufficiente guardare come sono strutturate in Italia le aziende: le funzioni più alte sono ancora principalmente occupate da uomini.
Le donne si laureano prima e meglio degli uomini e il loro numero nelle organizzazioni è destinato a crescere. Questo, secondo lei, che impatti avrà sulle organizzazioni?
Le donne aumenteranno all’interno delle organizzazioni anche perché oggi, sempre di più, si richiede che la donna lavori. Le donne che oggi hanno come progetto di vita quello di stare a casa penso siano sempre di meno, anche per problemi contingenti. Credo sia un lusso decidere di non lavorare. Reputo che lavorare ci faccia solo bene, in termini di relazione di coppia ma anche per la stabilità familiare. Per la donna, sapere che può contare sulla sua autonomia, sapere che può giocare alla pari, è un vantaggio. Anche rispetto agli eventi della vita che non sempre si possono controllare. Pensiamo alle separazioni, a problemi di salute, a eventi imprevisti e drammatici che richiedono un intervento concreto, anche economico. Se non ci si mette nelle condizioni di far fronte, in autonomia, agli eventi della vita, come si fa a guardare con fiducia al futuro? Alle donne poi le aziende daranno per forza più spazio e i numeri parleranno da soli. La mia sensazione è che in certe situazioni si cerchi di difendere la predominanza maschile. Anche forse per paura che le componenti femminili cambino le regole del gioco, modifichino certe dinamiche consolidate.