Intervista a Federica Appiani
Proprio parlando di maternità, spesso la carriera femminile è considerata un costo. Come è vissuto questo aspetto in Shell?
La carriera femminile è vissuta come un costo soprattutto nelle aziende piccole. In un’azienda di venti persone, se il responsabile commerciale donna sta a casa tre anni perché fa tre figli, è ovvio che crea un problema. Nelle aziende più grandi, come la mia, l’impatto è minore perché è compensato dal fatto che una persona come me contribuisce al successo di Shell proprio perché l’azienda mi ha consentito di fare figli, gestire la famiglia come volevo, offrendomi il giusto mix tra impegno professionale e familiare. Bisogna però anche avere l’onestà intellettuale di riconoscere, a prescindere dal fatto di essere uomo o donna, che se si hanno dei figli, e se li si vuole crescere, certe scelte di carriera sono precluse: dedicando tem po alla famiglia, probabilmente non si potranno cogliere tutte le opportunità per arrivare al massimo livello possibile di carriera. È una questione di investimento: più tempo e energie si investono in qualcosa (o qualcuno) più solitamente la resa è elevata. Detto questo, Shell è un’azienda che cerca di conciliare aspetti lavorativi e familiari, analizzando la forma di lavoro più congeniale per ognuno, creando gruppi di lavoro sul child care facility. Diversity & inclusion significa che se si vogliono avere donne o uomini all’interno del management, è necessario proporre un’offerta specifica per ogni individuo.
Tutto ciò è bellissimo, ma più facilmente realizzabile nelle aziende strutturate, piuttosto che in quelle piccole…
In linea di massima sì. Nelle aziende piccole o l’imprenditore è particolarmente illuminato, o l’operatività è stata impostata con regole che hanno alla base la flessibilità; altrimenti il percorso è molto difficile. Ma anche nelle grandi aziende, figlie del taylorismo e delle catene di montaggio, il passaggio culturale è difficile. Diversità e inclusione vuol dire saper individuare la risposta giusta a seconda delle esigenze della persona che si ha di fronte.
Da voi questo succede?
Da noi c’è la possibilità che questo accada. Ci sono attività con ruoli che è più difficile gestire in assoluta flessibilità, ma c’è l’impegno continuo per valutare dove e come è possibile creare spazi di flessibilità.
Nel suo caso specifico, Shell le ha dato la possibilità di conciliare vita lavorativa e vita privata?
Sì. Da questo punto di vista, Shell è molto avanti rispetto a molte altre aziende italiane; c’è uno sforzo del management, un’attenzione a non proporre una soluzione che sia unica. Anche se questa modalità non è garantita e automatica per tutti. Perché si lavora comunque per obiettivi; se si ottengono risultati, va da sé che le aziende saranno più disposte ad ascoltare le esigenze di chi lavora.
Secondo lei, nel fare carriera donne e uomini combattono ad armi impari? È vero che l’uomo sente meno il peso delle responsabilità perché vige ancora la concezione per cui la gestione della famiglia ricade prevalentemente sulle spalle delle donne?
Generalmente parlando, è vero che la gestione della famiglia è considerata ancora una prerogativa della madre, mentre in altri paesi, specialmente del Nord Europa, le cose vanno diversamente. È il messaggio sociale di base che è deviante: è più accettabile che sia l’uomo ad arrivare tutte le sere a casa alle nove dai suoi figli e non la donna. Perché vige ancora l’idea della ‘madreangelo del focolare’. Personalmente credo che, uomo o donna che sia, la sera si debba tornare a casa nell’orario stabilito, per dedicarsi ai figli e alla famiglia. Io sono sicuramente privilegiata, ho una baby sitter di fiducia, una persona che ci aiuta nelle situazioni d’emergenza e quattro nonni a supporto: sono consapevole del fatto che sia indispensabile avere una rete, per poter conciliare lavoro e sfera privata. Certo, mi rendo anche conto che questa rete ha dei costi, che secondo me vanno divisi all’interno della coppia perché, ribadisco, i figli non sono una prerogativa della madre.