Intervista a Gianna Martinengo

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E quest’anno qual è stata la novità?
Mantenendo sempre forte il concetto di invenzione e innovazione, quest’anno si è ampliato il tema allargandolo ai nativi digitali. Dobbiamo infatti porci il problema di come formiamo le nuove generazioni che non presentano nessuna diversità di genere nell’apprendimento, nel senso che fino a 15 anni le ragazze hanno pari se non superiori abilità rispetto ai ragazzi. Poi, purtroppo, prima nella carriera universitaria e poi nel mondo del lavoro cala drasticamente la presenza delle donne. In questo momento credo sia importante porsi il problema di come i giovani imparano e quali sono i nuovi paradigmi di apprendimento che possono essere riusati nella formazione degli adulti.

Quali sono quindi le competenze necessarie per utilizzare appieno le tecnologie?
A questo proposito è necessario aprire una parentesi. Perché bisogna capire cosa succede nel momento in cui l’utilizzo delle tecnologie si semplifica; la semplicità con la quale possiamo accedere alle tecnologie e fruirne, quali effetti crea? Un vantaggio, certamente dettato dalla facilità d’uso, ma anche il pericolo che ci si dimentichi di dare valore aggiunto a ciò che grazie alle tecnologie, sia dal punto di vista dei contenuti sia dell’invenzione di servizi nuovi, è possibile creare.

Intende dire che la facilità d’accesso alle tecnologie è un ostacolo al pieno sfruttamento delle potenzialità?
Diciamo che l’abbassamento delle difficoltà di utilizzo tende a frenare il desiderio di conoscenza dei confini in termini di potenzialità. Parallelamente, all’interno delle organizzazioni, si fa strada la necessità di eliminare le mediazioni e seguire per intero i processi. E, se è condivisibile il punto d’arrivo che prevede di eliminare le mediazioni nei processi di lavoro, è necessario però che le persone maturino le necessarie competenze. Perché la sola disponibilità di uno strumento potente non trasforma una persona in un tecnologo, al contrario questa persona sarà un utilizzatore molto poco formato di tecnologia.

Con quali conseguenze?
La prima conseguenza è che a un utilizzatore, diciamo inconsapevole, non potranno mai venire in mente opportunità di servizi che si possono sviluppare. Fatto questo che fa ricadere il nostro profilo in un semplice utilizzatore di tecnologia. Un problema per le imprese, che tendono a tagliare le intermediazioni senza preoccuparsi di creare team capaci di condividere un linguaggio comune che porti alla produzione di innovazione grazie alla condivisione delle conoscenze. Perché dalla condivisione dei linguaggi nascono nuove idee, nuovi servizi. E le tecnologie devono essere uno strumento che permette di dialogare e interagire, anche a distanza.

Tutto questo non ha a che fare con la cultura d’impresa?
Certo, perché quanto le raccontavo è uno scenario che ha alla base la condivisione. E da un punto di vista organizzativo i cambiamenti sono radicali; dal punto di vista della gestione delle risorse umane si tratta di un vero e proprio cambio di prospettiva, perché le persone devono essere coinvolte nella gestione globale del processo. Fatto, questo, che impatta sulla cultura d’impresa. Certo, si presuppone un ampliamento delle competenze, i tecnologi devono conoscere le scienze umanistiche; così come chi svolge altri ruoli deve conoscere le tecnologie. E capire se le organizzazioni sono pronte a questa partecipazione è proprio la base di un dibattito che ho cercato di stimolare.

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