La foto che non c’è
fotografia, social network, viaggio
In fondo a un cassetto ho trovato il diario delle ‘vacanze surgela’. Così con la mia amica Mare avevamo nominato la vacanza quando siamo partite per Capo Nord. La sera del 14 giugno di 35 anni fa è iniziata un’avventura che ci portiamo impressa nella mente e nel cuore. Solo lì, perché le diapositive non sono sopravvissute all’allagamento della sua cantina. Non ci sono foto, allora non c’era Facebook, condividere non era una necessità. Non conoscevamo quel senso di urgenza nelle comunicazioni che ora aggroviglia come il filo del telefono, che non esiste più, le nostre vite. Chiamavamo casa dalle cabine telefoniche, a turno: erano le rispettive famiglie a mettersi in contatto e a trasferirsi le informazioni sulla nostra vacanza. Noi, a parte la meta, Capo Nord, non avevamo chiaro il programma di viaggio. Con il mitico Interrail in tasca potevamo decidere ogni giorno di raggiungere una città diversa. E così abbiamo fatto, risalendo sempre più a Nord fino al Circolo polare artico per poi saltare da Stoccolma a Londra. Indignate per la modalità con la quale ci avevano preparato un tè, infatti, non abbiamo esitato a correre in Gran Bretagna per assaporare un infuso inglese. Ma torniamo al diario. Oltre a non avere il cellulare, non avevamo nemmeno l’Euro e, nell’ultima pagina, avevo annotato il valore delle monete con i calcoli delle somme da convertire. Anche le carte di credito ‘flash’ erano di là da venire. Bisognava fare i calcoli al centesimo, evitare di cambiare soldi in eccesso per non sprecarli in doppi cambi. I soldi che avevamo a disposizione non erano molti e il nostro viaggio durava un mese. Avevamo una tenda e arrivate a ogni destinazione dovevamo cercare un campeggio o un ostello. Sottolineo cercare, anche Google Maps era di là da venire.
Il diario è capitato nelle mani di mio figlio, che ha iniziato a sfogliarlo come fosse la testimonianza di un’epoca preistorica. In effetti, guardando indietro, resisteremmo una settimana senza sapere dov’è nostro figlio? Resisteremmo senza foto, messaggini, testimonianze in tempo reale dell’esistenza in vita delle persone che amiamo? La tecnologia ci ha privato della capacità di attendere ma, soprattutto, ha esasperato la necessità di essere visibili agli occhi degli altri. Siamo caduti nella trappola della gratificazione da ‘like’. Per questo in vacanza dobbiamo compulsivamente fotografare, postare, testimoniare di essere in luoghi meravigliosi, in condizioni ideali. Ed è così che tramonti mozzafiato, paesaggi lussureggianti, cene gourmet affollano i profili Instagram.
Non conta l’esperienza che facciamo, l’importante è comunicare uno stato d’animo, presunto. Di fronte a un tramonto in riva al mare trasmetto una sensazione di benessere e felicità. Che poi io lo sia veramente, quella è tutta un’altra storia. Una deriva insopportabile, che ci fa perdere di vista l’essenza del viaggio, che dovrebbe generare un arricchimento, non l’aggiornamento di un album fotografico. Ma tant’è, la deriva parte da lontano, quando l’industria del turismo ha inventato i villaggi vacanza. Luoghi distantissimi dall’idea di viaggio al quale sono stata abituata. Ho sempre guardato con molta tristezza le truppe di viaggiatori stanchi che, scesi da un aereo, andavano a rinchiudersi nei villaggi: qualche palma, un mare cristallino, cibo mediocre ma tant’è, si è iniziato ad alimentare il fascino della lontananza.
Luoghi tutti uguali, dai Caraibi all’Oceano Indiano, l’importante è andare lontano, raccontare di essere stati altrove. Sono certa che dei milioni di viaggiatori che hanno affollato, e tutt’ora affollano la Repubblica Dominicana, nessuno conosce la storia dell’isola, nessuno sa che se l’Onu ha istituito la giornata mondiale dedicata alla violenza contro donne lo si deve all’assassinio delle sorelle Mirabal, che si opposero al dittatore Trujillo imposto dalla politica Usa.
Ma torniamo alla nostra impresa, avevo 17 anni e potevo considerarmi una viaggiatrice esperta. Da qualche anno mio papà si era trasferito in Sud America, volavo da Milano a Caracas diverse volte l’anno. Non esistevano i viaggi low cost, anche nei grandi aeroporti internazionali il traffico non era caotico. Un anno papà ci portò a Canaima, una riserva naturale nella foresta amazzonica e mia mamma mi chiese se potevo scattar loro una foto. C’erano i rullini e l’ultimo a disposizione si stava esaurendo. Ora Amazon Prime arriverà anche nel cuore dell’Amazzonia, ma parliamo di un’altra epoca. Replicai che preferivo di no, se poi avessimo trovato qualcosa di bello da immortalare? Sono passati più di quarant’anni e mia mamma non ha ancora digerito l’offesa, ogni tanto rievoca la mia battuta infelice. La foto dei miei genitori non c’è e mio papà è mancato una decina di anni dopo. E se anche l’avessi scattata, la terrei per me.
Buone vacanze!
Lucia
La tua storia mi è piaciuta molto, complimenti per i tuoi viaggi, ed e’ verissimo che siamo ossessionati dai social, mettere in piazza ciò che facciamo, dove andiamo, quello che mangiamo…..
Per quanto mi riguarda ormai non lo faccio quasi più, a meno che non sia per ragioni di lavoro, ho il rifiuto di essere ossessivamente connessa, basta…le cose belle le tengo per me…condividere in pochi è bellissimo, bisogna proteggere le esperienze uniche e preziose della propria vita.
Continuerò a seguirti
Ciao
Lucia
Chiara Lupi
Grazie Lucia per condividere il tuo pensiero. L’utilizzo dei social richiede intelligenza, misura. Merce rara di questi tempi. Soprattutto bisogna avere dei contenuti, ed è qui si sprofonda in un abisso di inconsistenza.