La mia mamma fa un lavoro tipo dirigente d’azienda
Cosa pensano i figli delle dirigenti del lavoro delle loro madri
Le mamme dirigenti, e quindi molto assenti, vivono con un senso di colpa schiacciante nei confronti dei loro bambini. Ma i figli come vivono il lavoro delle loro mamme? In questo articolo riporto i risultati di una ricerca che ci aiuta a dare una lettura a un tema che interessa tutte le donne impegnate fuori casa. Il messaggio è chiaro: il problema è più nostro che dei nostri figli.
Di Luisa Pogliana
Qualche tempo fa parlavo con Marella Caramazza, direttore generale dell’Istud, che aveva accettato di partecipare a una mia ricerca sulle donne manager. Con Marella, che ha due figli, emerge un aspetto già ricorrente nelle altre interviste: i sensi di colpa delle mamme dirigenti rispetto ai loro bambini. Ma Marella mi dice una cosa in più: mi piacerebbe proprio fare una ricerca per vedere come questi figli vivono veramente questa situazione, la realtà potrebbe essere diversa.
Forse insieme ai problemi, trovano nel modo di essere delle loro mamme anche qualche ricchezza in più. Colgo la palla al balzo: perché non chiederglielo? Preparo un progetto per Istud, che trova il contributo economico di Fondirigenti e la ricerca parte. Con un approccio nuovo: mettiamo al centro i bambini e le bambine, sentiamo loro cosa hanno da dire. Dunque, accanto all’esperienza delle mamme dirigenti con le loro proposte alle aziende, ascoltare i vissuti dei loro figli e delle loro figlie verso la professione delle mamme. Per vedere se e quanto i sensi di colpa di queste donne possano essere andati oltre il loro disagio reale, perché alimentati anche da pressioni sociali e culturali. La ricerca, per quanto limitata a una prima esplorazione del problema, ha dato risultati di grande interesse: le ragazze e i ragazzi ci danno belle lezioni di maturità. Ne propongo qui alcuni aspetti, partendo dalla loro esperienza.
Assenti ma presenti
Il quadro che i ragazzi e le ragazze ci offrono, parlando della loro vita con una mamma molto impegnata nel lavoro, non si presenta particolarmente problematico, anzi, piuttosto sereno. Certo, le loro giornate, soprattutto quando erano più piccoli, sono segnate dalla lontananza dei genitori, della mamma specificamente. Ma i ragazzi e le ragazze non sembrano risentirne quanto o nel modo che forse ci si aspetterebbe. In genere non emergono momenti in cui abbiano sofferto particolarmente la loro situazione. Anche se questa visione sostanzialmente positiva non significa che non vedano, non sperimentino anche gli svantaggi. Qui i problemi si concentrano sul poco tempo che la mamma passa con loro, sul fatto che il lavoro la tiene lontana. A volte, anche quando è a casa: allora può essere lontana con la testa. “Io la volevo di più, mi piaceva quando faceva il part time e passavamo il pomeriggio insieme”, “Forse solo quando c’era il confronto con gli altri bambini che avevano la mamma che andava a prenderli a scuola”, “Solo in qualche momento particolare, oppure tornare a casa la sera e lei non c’era perché arrivava tardi, oppure se non c’era la domenica per un impegno di lavoro”, “Ha meno tempo per noi”,“Non stiamo molto insieme”, “A causa del suo lavoro mi sento un po’ distante dalla sua vita”, “Non ci sono cose negative, tranne il fatto che ogni tanto il lavoro la stressa”, “Lavora e quindi non mi ascolta, la chiamo e dice ‘un momento’, e poi aspetto tre ore”. La mancanza, certamente si sente, c’è il desiderio di avere la mamma un po’ più per sé. Tuttavia non se ne parla in modo veramente problematico. Questi momenti di ‘mancanza’ sembrano collocarsi in un quadro di sicurezza di fondo. La ragione appare evidente: la mamma, assente fisicamente durante la giornata di lavoro, è però una presenza molto vicina e affettuosa quando c’è e quando ce n’è bisogno, o nei momenti importanti. “Lei mi stava vicino quando c’era veramente bisogno, il primo giorno di scuola mi ha accompagnata lei”, “La mamma c’era sempre quando serviva”, “A casa c’è poco, ma quando c’è è molto presente, vuole sapere veramente come sto”, “Sa esserci quando c’è bisogno, è attenta ad aiutare, sa conciliare le due cose” , “In casa si sente se c’è, fa da mangiare lei, è disponibile, non ci sacrifica” . “Il suo cellulare squilla sempre, lei a volte rifiuta, ma se chiamo io non rifiuta mai”. “La mamma mi risponde, se non può dice che richiama”, “Mi dice sempre che il disegno che ho fatto è bello, ma lo fa per farmi piacere. Magari ho fatto un albero con i rami arancione ma lei dice sempre ‘Uh che bello!’”, “I compiti li faccio da sola, ma se ho bisogno di aiuto lei viene”, “È attenta al minimo dettaglio anche per la famiglia, gestisce anche la famiglia come il lavoro”. “Non c’è tantissimo, ma quando c’è è anche pesante, perché è attenta e controlla tutto, mi controlla”, “È disponibile ma severa, mi interroga”, “Apprensiva per i figli, i pericoli, mi dice di non chattare con gli sconosciuti”. Nei piccoli ritratti che i ragazzi fanno della mamma, emergono figure dolci e comprensive, ma con polso saldo, anche troppo esigenti: forse proprio perché non sempre presenti, esercitano forti pressioni educative verso figli. E non manca qualche critica. “Programma sempre tutto. Il giovedì discute un’ora con mio padre su cosa dobbiamo fare nel weekend”, “È spesso nervosa per il lavoro, perché deve fare mille cose insieme”, “Siccome non sta a casa non ha capito il giusto equilibrio di ritmo, anche a casa impone ritmi da ufficio”, “A casa è una leader, noi figli siamo trattati come i suoi in ufficio, lei comanda e dà gli ordini”, “A volte noi parliamo e si vede che la mamma pensa ad altro, dice ‘si va bene’”, “È sempre al telefono quando è a casa”, “Una volta ha detto ‘Andiamo a fare una passeggiata’ e poi ha parlato sempre al cellulare all’andata e al ritorno”, “Se devo dirle che ho preso 10 devo aspettare che finisca di parlare con l’altro, poi magari dice ‘bravo’ a lui”. La mamma ha comportamenti ‘da dirigente’ anche a casa, o continua a occuparsi di lavoro quando è con loro. Sono rilievi fatti con un atteggiamento indulgente. Ma lasciano intravedere un certo fastidio quando il lavoro interferisce con il tempo riservato a loro (la sera e il week end). Come se ci fosse un patto di equilibrio e compensazione tra mamme e figli, nella destinazione del tempo. Certamente tutto questo quadro non vuol dire che nell’infanzia questi ragazzi non abbiano sofferto per la situazione, ma se anche così è stato, non sembra aver lasciato tracce problematiche, anzi, sembra oggi ben elaborato. La percezione della loro vita familiare appare, dal loro modo di rappresentarla, come una situazione ricca e apprezzata. I figli sembrano sentire che c’è una presenza affettiva, di cura, di controllo e di sostegno: è questo che percepiscono e apprezzano, al di là della presenza fisica continua. È questo il fatto essenziale che porta i ragazzi a un bilancio più spostato sugli aspetti positivi: il lavoro non sottrae realmente la mamma, e porta anche cose buone. Nessuno, infatti, pensa che sarebbe stato meglio avere una mamma a casa. “Adesso dico di no”, “Crescendo la cosa ti piace, perché non ero troppo controllata, anche perché studiavo e andavo bene. Non invidiavo più quelle che avevano le mamma oppressive”, “Le altre avevano madri frustratissime, con un rapporto pessimo con la figlia. Erano poco presenti anche se non lavoravano o facevano le insegnanti, nel senso che facevano scenate, si preoccupavano dell’amante del marito”.
Autonomi e maturi
In generale, ragazze e ragazzi sono convinti di “avere qualcosa in più” rispetto a chi ha una mamma che non lavora o ha un lavoro non molto impegnativo. Ed esprimono un parere convinto: a loro piace che la mamma lavori. Soprattutto le bambine appaiono solidali con la scelta della mamma, di cui sembrano orgogliose. Con qualche dichiarazione sorprendente, e la capacità di cogliere nella loro mamma una dimensione insolita: una donna che non solo si ama come mamma, ma che piace. “È euforica, contenta, anche se ha i suoi momenti…”, “A me piace com’è la mia mamma”, “A me piace il carattere di mia mamma”, “La mia mamma mi piace”, “Sono contenta di avere la mamma che lavora, ma proprio tantissimo” , “Io sono contentissima che la mamma lavori”, “Cosa fa una mamma a casa tutto il giorno? tanto noi bambine siamo a scuola, cosa deve fare?”. I vantaggi che questo comporta si concentrano innanzitutto sul fatto che una presenza continua della mamma sarebbe più oppressiva per loro e un peso anche per lei. Non si tratta tanto di non essere pressati da controlli, ai quali sono comunque sottoposti, ma di sentirsi autonomi, capaci di gestirsi, di prendersi le proprie responsabilità. Si sentono liberi di amministrarsi e capaci di farlo, con un’autonomia precoce rispetto ai compagni. L’impegno professionale della mamma è stato positivo per la loro crescita: sentono di essere cresciuti, invece che fuori controllo, più maturi. Grazie anche a una mentalità più aperta della mamma, e a una ricchezza di esperienze che la mamma trasmette loro dal suo lavoro, al suo modo di pensare, di affrontare la vita. “Lei può stare sola a pensare ai fatti suoi e non deve pensare sempre a cucinare”, “Sarebbe stato un super controllo, invece così o e mia sorella ci siamo abituate a fare da sole, ad auto organizzarci”, “Gli altri che avevano la mamma addosso finiva che non studiavano, noi ci sentivamo più responsabili, dandoci più autonomia siamo diventate più mature”, “Alle medie facevo già tutto da sola, gli altri avevano sempre la mamma dietro”, “Vedevo gente che ancora al liceo si faceva aiutare dai genitori con i compiti, io ho imparato a studiare da sola. Adesso sono una che si regola e se la cava da sola, io devo farcela da sola perché è compito mio, non devo ricorrere ai genitori”, “Ho avuto vantaggi di indipendenza, facevo da mangiare alla sera già alle elementari, impari a cavartela senza avere qualcuno vicino che si preoccupa, quello che devi fare lo sai fare tu, io l’ho fatto e sono contenta”, “Mi sono anche abituata ad essere sola nelle scelte e nella vita di tutti i giorni”, “Lei non ci cerca sempre,ci lascia anche libere di sbagliare”, “Va bene così, noi siamo contenti, non cambierei niente in lei, e poi mi pare che siamo venuti fuori delle belle persone“, “Mi ha dato ampie vedute, mi propone cose come andare all’estero a studiare, cosa che altri ragazzi volevano fare e non li hanno lasciati, lei è aperta di mente e ce lo trasmette”, “Mi ha dato l’opportunità di imparare tante cose”, “Porta a casa le esperienze, le cose interessanti, non ci esclude dal suo lavoro”. Spesso non si trascura nemmeno il contributo economico che porta in famiglia. Ragazzi e ragazze ne parlano un po’ ridendo, ma sono consapevoli che è un vantaggio non da poco. E non manifestano, dunque, un’idea sbilanciata di ruoli familiare secondo gli stereotipi che vedono il perno nel lavoro del padre. “La mamma guadagna” (assenso e risate collettive), “Anche noi così abbiamo più soldi, possiamo fare più cose, possiamo viaggiare di più”, “Con il suo lavoro ci dà delle migliori condizioni economiche”. E subito dopo aver parlato dei propri vantaggi, l’attenzione, con grande maturità, si concentra proprio sulla mamma come persona, su quello che pensano essere gli aspetti vantaggiosi per lei. Tutte e tutti concordano sul fatto che è importante che lei lavori, perché è la sua realizzazione, è fonte di gratificazione, corrisponde al suo carattere e ai suoi desideri. Vedono una donna soddisfatta, e c’è un vero orgoglio di avere una mamma così, capace e interessante in modo un po’ diverso. “Non ce la vedo proprio a stare a casa, a non fare il manager”, “Mia mamma scapperebbe da casa”, “Uscirebbe pazza”, “È bello avere una madre realizzata e felice del proprio lavoro”, “Si vede il suo entusiasmo nel lavoro, la sua grande soddisfazione”, “A lei il suo lavoro piace, mi fa piacere che abbia raggiunto una soddisfazione nel lavoro”, “Essere un manager la fa sentire un po’ stressata, ma dimostra sempre gioia di lavorare”, “Mi sento orgoglioso di avere una madre così”, “Io con una mamma del genere mi sono sempre sentito un po’ diverso, orgoglioso”, “Io sono orgoglioso, poi sul lavoro lei ci è già passata e ti aiuta”. Qui la ricerca apre a un altro tema: gli effetti del modello professionale materno. Su cui sarà interessante ritornare. Ma fermiamoci per ora su quello che queste esperienze hanno da dire sui sensi di colpa delle donne che cercano una realizzazione anche nel lavoro, verso i loro figli.
Se la mamma fosse un animale
Per completare il quadro di questi vissuti della mamma, una mamma impegnata anche nel lavoro, ai ragazzi è stato chiesto di fare un gioco. In realtà, un test proiettivo per andare oltre le dichiarazioni magari un po’ razionalizzate, ed esplorare l’immagine della mamma a livello simbolico e affettivo: se la mamma si trasformasse in un animale, che animale sarebbe? Ne escono rappresentazioni che valorizzano la personalità complessiva della mamma. C’è una presenza di tratti legati al lavoro: animali che lavorano molto (formica, uccello migratore, delfino che ha relazioni e discute, orso che si addormenta per la stanchezza), oppure tratti di forza, autorità, superiorità (aquila) che fanno pensare alla parte di personalità della mamma che si esprime nel suo specifico lavoro. Accanto a questo, compare in altri casi, o anche contemporaneamente, la rappresentazione del suo atteggiamento materno verso i figli. Vediamo così animali che si prendono cura dei cuccioli (canguro, un po’ simbiotico, leonessa che si occupa dei piccoli, uccello che si occupa dei passerotti, orso che si arrabbia, sottinteso, con i figli), animali in cui non mancano comunque tratti di forza e autorità (orso terribile, leonessa che comanda). “Un delfino, perché espansiva, aperta, dialoga con tutti, partecipa alle discussioni”, “Sarebbe un orso, perché appena si stende sul divano si addormenta, e perché se si arrabbia diventa terribile”, “Una formica, perché deve lavorare tanto”, “Un’aquila, per la sua autorità e generosità”, “Un canguro, perché lei è protettiva nei miei confronti, vorrebbe portarmi sempre con sé”, “Una leonessa, si occupa dei figli e stabilisce ordine in casa”, “Un uccello, perché è allegra, è occupata dai passerotti, e viaggia tanto per lavoro, è un uccello migratore”. Queste immagini confermano che, anche nel vissuto profondo, la percezione della mamma comprende i suoi due aspetti fondamentali agli occhi dei figli: l’essere una buona mamma e fare un lavoro impegnativo, senza accenti negativi per un aspetto verso l’altro. Rispetto alla componente legata al lavoro, se mai colgono qualcosa di problematico, è più l’elemento della sua fatica, del suo tanto lavoro, che non gli effetti di lontananza dai figli. Sembrano quasi più sensibili verso la mamma che verso se stessi.
Il bisogno di crescere
L’assenza fisica della mamma non si configura necessariamente come sofferta mancanza, ma piuttosto come una delle tante prove che si affrontano per crescere. In questi casi, una prova che più che privazioni porta una crescita, rispondendo a un bisogno fondamentale dello sviluppo psicologico del bambino. Che è proprio il bisogno di separarsi dalla mamma per poter crescere, imparare a stare nel mondo, a godere di altre relazioni. La separazione è indispensabile alla crescita. L’importante è fare buone separazioni, gestirle bene (come dai racconti dei bambini sembrano avere fatto queste mamme) trasmettendo al bambino tranquillità e vicinanza, comunicando il senso di questo allontanarsi per il lavoro e anche l’importanza e il piacere che questo ha per sé. Invece di trasmettere stati d’animo emotivi di senso di colpa e ansia iperprotettiva. Si potrebbe dire che c’è quasi una soluzione naturale nel conflitto tra stare con i figli e andare a lavorare: ciò che fa bene alla mamma fa bene anche al bambino. “Dunque andate a fare il vostro lavoro tranquille, e lasciate che il bambino faccia il suo lavoro di giocare con gli altri bambini e imparare a crescere”.1 E infatti vediamo quanto i ragazzi che si sono raccontati sono felici e orgogliosi proprio della loro crescita e autonomia, di cui hanno saputo fare uso responsabile e maturo. Evidentemente non possiamo generalizzare e pensare che sia sempre così. Tutto dipende sempre dalla qualità delle persone in gioco, e da molte altre circostanze. Ma, se non succede sempre così quando una mamma ha un lavoro impegnativo come quello manageriale, possiamo però dire che una mamma che persegue la sua realizzazione anche in un lavoro molto assorbente, non inevitabilmente crea mancanze nella vita dei figli. La capacità di queste donne di essere comunque presenti nella vita dei figli e delle figlie permette a questi di sopportare senza vera sofferenza la lontananza dovuta al lavoro, e apporta molte ricchezze nella costruzione della loro identità. Tanto da stimolarne la crescita, l’autonomia, la responsabilizzazione, la maturità molto più che con una presenza fisica continuativa e magari iperprotettiva. E tanto da costituirsi come modello personale e professionale per la loro vita.
Il difficile raggiungimento di un equilibrio
Certo, a condizione di investire in tutte e due le direzioni, di non appiattirsi su un percorso di carriera a qualunque prezzo, con la capacità che hanno le donne di essere presenti in più mondi contemporaneamente. E con la consapevolezza che in questo modo sono buone mamme anche se non si sentono perfette (come diceva Winnicot, i bambini hanno bisogno di mamme ‘sufficientemente buone’, non di mamme perfette). Questo, ovviamente, non vuol dire che le mamme manager possano essere contente così. Perché riuscire in questa ‘buona separazione’, per donne che fanno questo lavoro, vuol dire fare enormi fatiche, gestire una complessità di vita che certamente dà soddisfazioni su tutti i fronti ma con prezzi molto elevati. A volte prezzi e fatiche non inevitabilmente così pesanti. E infatti, quando –nella ricerca– sono le mamme a parlare dei loro problemi tra maternità e azienda, l’attuale cultura aziendale e l’organizzazione del lavoro di stampo maschile sono ampiamente chiamate in causa come fattori inutilmente penalizzanti. Penalizzanti per le donne manager in generale, ma soprattutto per quelle che scelgono di avere figli. I sensi di colpa sono, dunque, magari eccessivi, infondati per alcuni aspetti, ma certamente la grande fatica di raggiungere questo difficile equilibrio, di potere vivere con una certa serenità i diversi aspetti della vita, è anche frutto di eccessive e in parte evitabili pressioni aziendali.