L’equivoco della conciliazione
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Massimo Bruscaglioni, considerato uno dei padri della formazione in Italia, mi dedica un po’ del suo tempo e ci concediamo una chiacchiera sulla formazione, il ruolo del responsabile del personale, il senso del lavoro. La nostra conversazione prende una piega che interessa i contenuti che affrontiamo in questo blog e quindi ne riporto una sintesi. L’Hr deve essere utile all’azienda e alle persone e deve perseguire questi obiettivi senza ricercare compromessi. L’incrocio dei due obiettivi porta alla generatività, alla creazione di qualcosa di nuovo. Troppo spesso l’Hr è vittima di una ‘cultura del compromesso’ ma il compromesso fa perdere chiarezza, ci allontana dall’obiettivo. Un esempio per tutti la conciliazione tra la vita personale e la vita lavorativa. Un grandissimo equivoco che ci porta fuori strada e, soprattutto, ci fa perdere di vista l’obiettivo, che dovrebbe essere avere una bella vita lavorativa e una bella vita personale. Non cedere al compromesso significa sforzarsi di generare qualcosa di nuovo, significa avere il coraggio di generare pensieri innovativi. Mentre ci si culla più facilmente nella ricerca del male minore, con il risultato che alla fine l’insoddisfazione arriva a permeare ogni angolo della nostra esistenza. E invece dobbiamo avere il coraggio di inventare un nuovo modo di fare le cose, nella nostra organizzazione e anche nella nostra vita. Ma tutti ci dicono che siamo resistenti al cambiamento, che cambiare è difficile, che solo con grande fatica smettiamo di fare le cose come le abbiamo sempre fatte. Anche questo è un mito da sfatare! Le persone hanno voglia di cambiare, mettono tutto in discussione con molta più facilità di quanto non si creda (basta guardare con quale facilità si cambia il partner, se non è propensione al cambiamento quella…). E allora in questa propensione al cambiamento (se pur non tanto consapevole, evidentemente) ci deve essere il coraggio che ognuno di noi deve trovare per generare qualcosa di nuovo, innovare il modo in cui si fanno le cose e si gestiscono le relazioni. E invece sembriamo tutti concentrati nel mettere insieme pezzi di un puzzle che non si comporranno mai, perché sbagliamo l’approccio. Ci concentriamo sui nostri problemi e cerchiamo di risolverli in qualche modo tutti. Senza avere il coraggio di rivoluzionare veramente almeno una delle criticità che ci si presentano, nel lavoro e nella sfera privata. Massimo mi suggerisce di fare un esperimento: prova –mi dice– a chiedere a una a caso tra le persone che conosci, come va? Un interrogativo banale, ma che scatena in molti di noi il desiderio di esternare tutto quello che non va. Per chi ha dei figli è un classico. Se sono più di uno alla domanda non si risponde fieri dei successi che hanno ottenuto –o che uno solo ha ottenuto, basterebbe–. L’occasione è ghiotta per scatenarsi in una lamentatio senza fine su quanto sono svogliati, ingestibili, se sono adolescenti, e se per caso hanno preso un brutto voto a scuola non manchiamo di rimarcare le interminabili traversie di un percorso scolastico in salita. E i successi? Ci sono, sempre. Ma noi no, chini su quel che non va cerchiamo di farci andar bene un po’ tutto cercando di trovare positività anche dove, oggettivamente, non ci potranno mai essere. Senza avere il coraggio di cambiare prospettiva, senza trovare la forza per arrendersi all’evidenza che se c’è qualcosa che non va dobbiamo avere il coraggio di essere ‘generativi’ e cambiare le cose. E in questa ricerca spasmodica del compromesso finiamo per essere insoddisfatti. Come potrebbe essere altrimenti? Cercando di aggiustare tutto senza avere la forza per modificare nulla, come pensiamo di incidere sulla nostra vita? Lamentiamo che la nostra classe politica non sa disegnare orizzonti, non sa immaginare come sarà il nostro Paese tra 10 anni. E noi ci fermiamo ogni tanto e ci concentriamo sul nostro di orizzonte? Dove vogliamo essere tra 10 anni, con chi? Mi rendo conto che in un momento di grande instabilità come quello che stiamo vivendo non è sempre possibile modificare un assetto, un’organizzazione, una modalità di lavoro. Ma forse è dal nostro privato che dovremmo partire. Cominciamo a sognare di volere una vita lavorativa bella e una vita personale che ci appaga. Proviamo a fare un elenco di tutto quello che dobbiamo fare per ottenerlo. Senza compromessi. Potremmo rimanere sorpresi nello scoprire che le iniziative che dobbiamo intraprendere sono coincidenti. In entrambe i casi, se siamo bravi, avremo inventato qualcosa di nuovo, rotto uno schema, trovato una soluzione alla quale non avevamo pensato. Le nostre organizzazioni, ma anche le nostre vite, hanno bisogno di essere prese di petto, con un po’ di creatività. Lo dice anche Massimo, fidiamoci…