Nei panni di una donna
conciliazione, Gruppo Helvetia, lavoro femminile, maternità, Pasquale Cormio
Ieri è nata Viola, la figlia di Dario, il nostro caporedattore. La bimba sta bene, la mamma anche. Il papà è lievemente scosso. Mi chiama e mi dice che un uomo non potrebbe mai sostenere uno sforzo simile e sopportare un dolore così grande. Annuisco al telefono. Lo tranquillizzo. È un dolore che si dimentica, altrimenti tutte le mamme al primo figlio darebbero forfait. Approfitto di questo lieto evento per pubblicare qui lo scritto ricevuto da Pasquale Cormio, Responsabile Sviluppo Risorse Umane e Comunicazione interna Direzione Risorse Umane Gruppo Helvetia Italia che ci racconta come mettersi nei panni di una donna sia, per un uomo, impossibile. Ma provarci, comunque, dovrebbe essere un obbligo per tutti i maschi di ogni età.
“Paolo ci provò durante uno dei trasferimenti in metropolitana, nello spazio di una sosta alla fermata di Pagano per il cambio di linea.
Erano passate da poco le otto di sera, stava leggendo seduto sulla panchina di marmo quando iniziò a sentire una voce di donna che parlava al telefono scendendo le scale. Circa quarantacinque anni, completo pantaloni e giacca neri, camicia in raso colore crema, scarpe di chi deve stare in piedi tutta la giornata.
Paolo la conosceva, era una commessa di un negozio di abbigliamento femminile presente in tutta Italia. Anche una principessa indossava i loro vestiti.
La telefonata, che aveva come argomento il proprio figlio, era con la madre.
Ha mangiato?
Fatto i compiti?
L’hai portato a catechismo?
Se Paolo l’aveva riconosciuta, per la commessa il suo viso non era familiare. Spesso succede a chi, per lavoro, si relaziona con gli altri.
Quando esci dalla porta resetti tutto, per entrare in un mondo diverso, tuo, dove la gentilezza, per quanto naturale in negozio, non è dovuta fuori.
Paolo se la ricordava anni prima, più magra, sorridente nel dare suggerimenti a sua moglie sugli abbinamenti cromatici. Infaticabile, come le altre colleghe, nell’andare in magazzino a prendere le taglie dei modelli esposti.
La conversazione era di una che non ha tempo da perdere. Veloce e accurata, non sprecava tempo in fronzoli e orpelli. Dritta al nocciolo per il bene del figlio e l’ottimale gestione del poco tempo non lavorativo. È difficile vivere il doppio ruolo di mamma e impiegata, commessa, operaia, manager.
Richiede grande determinazione e coraggio.
Nella telefonata non c’era la presenza di un compagno. Paolo vide in quel corpo che stava cambiando, una grande solitudine e contemporaneamente un mondo d’amore per il figlio. Quanta responsabilità!
Nell’entrare nel vagone incominciò a riflettere su come le cose erano cambiate. Il mondo del lavoro, quello che sta fuori di casa, era tanto maschile quanto femminile, ma allo stesso tempo era evidente un fatto: le organizzazioni funzionano in base a modelli maschili, in base a regole stabilite da un solo sesso. E questo penalizza sia tutte le persone che lavorano, sia le organizzazioni stesse.
Paolo, forse preoccupato per il futuro della figlia adolescente, si scoprì più lucido nel vedere che l’arroganza maschile aveva il suo messaggio sotteso che poteva essere: solo noi conosciamo le parole giuste per parlare di queste cose, solo noi possiamo parlare di questo.
Quanta intelligenza, energie, saperi inutilizzati.
All’apertura delle porte la commessa che aveva incrociato il suo sguardo, lo riconobbe e gli sorrise nel domandare come stava la moglie alla quale chiese di portare i suoi saluti.
Lungo la strada di casa Paolo pensò a tutto quel mondo femminile che incrociava la mattina, a quelle borsette di plastica lucida, ispirate dal bagaglio di Mary Poppins dalle quali si mostravano libri, bottigliette d’acqua, pranzi frugali. Alcune volte era possibile scorgere delle scarpe prive di tacco. Donne che cercavano di conciliare vita personale e lavorativa e, nel farlo, desideravano i loro spazi per svolgere il proprio compito, per ‘lavorare bene’ donandosi con la consueta dedizione, come le donne etrusche, le più emancipate di sempre.
Paolo ripensò alle sue considerazioni iniziali, la giovane donna non aveva resettato nulla, la gentilezza era uno stato naturale sia in negozio sia fuori.
Sul tema del lavoro al femminile, del genere, della differenza, c’era moltissimo da dire e mettersi nei panni di una donna doveva diventare un esercizio abituale”.