Non dite a mia madre che faccio l’imprenditrice, mi crede impiegata in una azienda!
baby sitter, conciliazione, Elisabetta Favale, Gammadonna, lavoro femminile, organizzazione, SpazioCuore, welfare aziendale
L’arte di re-inventarsi è il tema di Gammadonna, il salone dell’imprenditoria femminile e giovanile che si tiene a Torino l’1,2 e 3 ottobre. Testimonial del salone un’amica del nostro blog, Elisabetta Favale, che sul tema ha da raccontare una storia vera. Eccone un’anticipazione. Brava!
“Ho lasciato a dicembre 2012 la multinazionale dove lavoravo – racconta Elisabetta – ero un quadro e mi occupavo di appalti, area aziendale in cui ero approdata appena nel 2009 dopo una carriera fatta nell’ambito delle risorse umane e più precisamente nelle agenzie per il lavoro. L’esperienza nel mondo dell’interinale da pioniera (sono stata tra le primissime assunta come capo filiale di una delle prime società italiane nel 1998) mi aveva dato moltissimo, mi sono sentita una delle poche persone davvero realizzata, con un lavoro in linea con gli studi fatti (scienze politiche indirizzo amministrativo con una passione per il diritto del lavoro) e la possibilità di fare lo start up di uno strumento legislativo che stava cambiando il mondo del lavoro. Ho creduto moltissimo nelle potenzialità e nelle innovazioni che si sarebbero potute apportare in un mercato del lavoro rigido e stantio, tuttavia non avevo fatto i conti con le distorsioni del mercato stesso, con l’incapacità di noi italiani di adoperare al meglio i mezzi che ci vengono messi a disposizione e, non avevo fatto i conti, con il turn over dei vari governi che di lì a poco avrebbero modificato una legge che non era stata ancora neppure applicata al 100% ma così è l’Italia. Ho interrotto l’idillio dell’interinale quando già aveva cambiato nome ed era diventato somministrazione e l’ho interrotto perché il mondo delle risorse umane mi aveva dato prova di quanto fosse disumano nel momento in cui mi ero ammalata di cancro (una manciata di anni fa). Girata l’Italia in lungo e in largo, da Roma approdo a Milano nel dicembre 2011. Un anno dopo esatto, dicembre 2012, decido che a quel punto era arrivato il momento, nonostante la crisi, nonostante le incertezze e l’età oramai superiore ai 40, di fare il salto. Il salto verso l’ignoto, verso il rischio che comporta oggi investire in Italia. Perché? Perché è stato un percorso interiore durato circa 6 anni, quelli che ho impiegato a ricostruirmi una carriera e a risalire la china dopo il momento più difficile della mia vita. Un percorso che aveva come meta un lavoro che mi vedesse impegnata direttamente, un lavoro di cui decidere le regole o le non regole, dove l’etica e i fondamenti dell’azienda fossero quelli più vicini al mio sentire, un lavoro che non rappresentasse per me solo un mezzo per avere uno stipendio ma qualcosa di più e che mi permettesse di vivere la vita a modo mio. Ho fondato una cooperativa sociale di tipo “a”, che si occupa quindi si servizi socio – sanitari e ho deciso che la particolarità doveva essere quella di diffondere un servizio innovativo: quello di un welfare condominiale “governante/tata/badante condominiale”, risorsa che lavora in sharing su più famiglie dello stesso condominio. L’assist mi è arrivato dal rinnovo del Contratto collettivo nazionale dei portieri di stabili che all’art. 17 ha inserito la possibilità di assumere, da parte del condominio, anche due altre figure: l’assistente condominiale, una sorta di figura segretariale che si occupa del disbrigo di piccole pratiche amministrative e quella che io chiamo più genericamente “governante condominiale” che poi si declina in tata o badante condominiale a seconda delle esigenze delle famiglie che ne fanno richiesta. Socia e co-fondatrice un’amica proveniente sempre dal mondo dell’interinale con motivazioni un po’ diverse dalle mie ma con l’intento comune di liberarsi di un lavoro fondato sulle logiche “dell’ebitda a tutti i costi. Abbiamo firmato l’atto costitutivo di Spaziocuore il 14 febbraio 2013 e l’11 marzo abbiamo aperto le porte del nostro ufficio (a pianterreno del palazzo dove vivo io a Milano). Il 1° luglio 2013, quindi 4 mesi dopo il nostro start up, abbiamo concesso il licenza il marchio Spaziocuore a una persona che, come noi voleva dare una svolta radicale alla propria vita e a Roma ha fondato a sua volta una cooperativa che offre i nostri stessi servizi (ci occupiamo anche di babysitting e assistenza domiciliare per singole famiglie) a marchio Spaziocuore.
Cosa abbiamo promesso a chi ha deciso di investire del denaro per prendere in licenza un marchio appena creato e vendere un servizio sperimentale? Niente! Abbiamo promesso che insieme lotteremo per realizzare un sogno comune: contribuire a stimolare un desiderio di comunità, contribuire a creare una rete sociale che parte proprio dalla contiguità fisica tra persone dello stesso palazzo o quartiere, in una Italia abituata da qualche decennio a guardare “Forum” in Tv e ad alimentare il pregiudizio verso il vicino di casa.
Oggi abbiamo circa 5 richieste in corso per nuove “affiliazioni” in altre città d’Italia, numerose interviste su riviste a diffusione nazionale ed emittenti radiofoniche, molti parlano di noi e della nostra idea, addirittura c’è già chi ci imita e importanti gruppi aziendali ci hanno annoverato come fornitori di servizi alle famiglie dei loro dipendenti inserendoci nel meccanismo dei servizi di welfare aziendale. Difficoltà? Quelle che incontrano tutti gli imprenditori italiani: siamo arrivate a fare impresa immediatamente dopo la nuova riforma del mercato del lavoro che ha reso ancora più farraginosi i meccanismi di assunzione per i piccoli imprenditori, siamo arrivate dopo la spending review e nel momento in cui si lotta per evitare che il nostro settore (quello delle cooperative sociali), l’unico rimasto in crescita negli ultimi 10 anni, subisca danni da un aumento sconsiderato dell’iva che dal 4 dovrebbe passare al 10%. Noi però vogliamo essere fiduciose, vogliamo essere portatrici sane di buone prassi creando un modo diverso di soddisfare esigenze oramai divenute emergenza sociale (l’assistenza domiciliare di anziani e bambini è sulle spalle delle famiglie che non possono contare su aiuti pubblici) e fra cinque anni contiamo di avere diffuso il nostro servizio di “governante condominiale” in almeno 20 città. Mia madre, ha saputo del fatto che sono amministratore della mia azienda dopo circa 3 mesi e per un po’ le ho lasciato credere che era una cosa momentanea, una sorta di periodo sabatico dopo anni di stress psicofisico causati dalla necessità di ricostruirmi una carriera che però mi stava portando verso un modello di vita che non avevo scelto. Ora, dopo che numerosi giornali hanno parlato di me… sono stata costretta a fare outing”.
eugenio bastianon
Davvero mi sento coinvolto nella storia di Elisabetta, ma non posso condividere il suo asserto iniziale: non far sapere a sua madre che il suo drammatico percorso di vita l’ha portata ad una scelta importante come quella di cambiare professione.
Io credo: a) che ciascuno abbia il diritto di diventare adulto – perché questo significa la capacità di scegliere nuovi orizzonti professionali- anche di fronte a propria madre; b) che ogni madre abbia il diritto di essere trattata come adulta, e quindi come capace di elaborare nuove immagini di sé, degli altri, della realtà.
Del resto ho provato per esperienza personale che decidere di diventare pienamente adulti verso i genitori in generale, compiendo scelte che portano anche a dolorose fratture e a impensabili conflitti è, alla fine, un momento produttivo e positivo. Questo perché, nel caso si verifichi la situazione in cui i figli devono assumersi responsabilità più che “genitoriali” verso i propri stessi genitori, è bene che i genitori stessi sappiano di doversi fidare-affidare non solo a un figlio ma anche ad un adulto.