Incontro un’amica inserita in un percorso di crescita manageriale nell’azienda nella quale lavora da poco. Mi racconta di un’avventura che si prospetta stimolante, deve gestire un gruppo di persone e il suo lavoro le piace. Mentre parliamo la sua bimba di quasi 5 anni non dà segni di volerla lasciar chiacchierare in pace. Sta comoda in braccio alla sua mamma. E allora il discorso cade li, su come si gestiscono lavoro e famiglia, cosa fa l’azienda per agevolare le carriere delle donne. E parte lo sfogo.
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Chiara Muti, mamma di una bimba, al debutto alla regia di un’opera lirica, dichiara di essere preoccupata per la mancanza di tempo più che per l’opera in sé o per la collaborazione con il padre. “Per noi donne è così – dice -, non abbiamo una moglie che pensa a tutto”. E’ così anche per voi?
Di Lauro Venturi
Ho navigato a lungo sul sito e la considerazione di fondo è: se queste sono le dirigenti disperate, non oso pensare all’energia liberata da quelle piene di speranza.
Chiara non è certo una “desperate housewive”, anche se conoscendola più del livello superficiale e meno dell’amicizia posso intuire sprazzi di perfezionismo, sempre però gestiti con il buon senso della subottimalità e della imperfezione (che mai è trascuratezza).
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Le giovani ricercatrici nel nostro Paese sono poche; ovvio che poi ai posti di comando non ci siano. Non e’ che si possono materializzare dal nulla. Se neanche partono difficilmente potranno arrivare. Le donne sono il 33% dei ricercatori, il 19% dei professori ordinari su 79 rettori solo 5 sono donne. Peccato, perché anche Umberto Veronesi riconosce che le donne dovendo combattere contro discriminazioni e stereotipi dimostrano costanza e impegno molto forti. Ma molte sono ancora costrette a scegliere tra lavoro e carriera, e quindi rinunciano a portare avanti la loro professione. I servizi non ci sono, difficile pensare alla famiglia, a dei figli.