Un ragazzino milanese litiga con la mamma e pianifica una fuga da casa. In perfetto stile adolescenzial-tecnologico-contemporaneo, cosa fa? Chiama un taxi. Destinazione? Venezia. Costo dell’operazione? 380 euro. Il cellulare, ovviamente, lo lascia a casa, sennò, che fuga è?
Mio figlio qualche sera fa mi chiama: “Mamma sono in ritardo, arrivo subito”. Un subito mica tanto metaforico, tant’è che dopo due minuti suona il citofono. “Ma come fai a essere già qui?” Incalzo. “Ho preso un taxi” replica serafico l’adolescente con l’atteggiamento di chi sa cosa sia il problem solving.
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Già, il senso. Ha senso raccontare da dove vengo per capire l’atteggiamento verso la vita, il lavoro, le relazioni. Mio padre, già quarant’anni fa mi ripeteva che i confini non hanno senso, che il mondo è grande, che le opportunità bisogna andarsele a cercare. Mi diceva anche dovevo sempre pormi in una situazione di vantaggio, che dovevo poter essere libera di scegliere. Ma che per farlo avrei dovuto studiare, lavorare tanto. Lui voleva un figlio maschio, mi diceva sempre che se fosse nato un maschio l’avrebbe chiamato Paolo.
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Ore 8,35: rispondo alla prima mail del mattino
uongiorno, ho ricevuto il materiale.
Le manderò una bozza prima possibile. Forse già domani.
La contatterò se avrò bisogno di altre info.
Grazie Chiara
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di Norman di Lieto
1) Dott.ssa Lupi, in Italia è davvero così complicato conciliare l’attività professionale con quella di mamma ?
Il problema della conciliazione rimanda a un equivoco di fondo, irrisolto, del nostro Paese. In Italia tutto ciò che riguarda i servizi all’infanzia viene considerato un aiuto per la donna che lavora. In realtà questi servizi non devono essere percepiti come aiuti alle donne ma alle famiglie, questo il problema. Perché la cura dei figli deve ricadere sotto la responsabilità delle famiglie, non solo delle madri. Mentre invece ricorre il pensiero che le madri vadano aiutate. Certo che hanno bisogno d’aiuto, ma è necessario cambiare logica: servono politiche che sostengano il nucleo familiare.
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