Come ha scritto il comico Gene Gnocchi sul settimanale ‘A’, per chi ha creduto nella profezia Maya e nel mese di dicembre ha fatto l’amore senza preservativo, il 2013 potrebbe rivelarsi un anno ancor più difficile rispetto al passato 2012 che, da buon bisestile, non ha tradito le aspettative.
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Crolla il tasso di occupazione tra gli under 35, negli ultimi cinque anni sono diminuiti di 1,5 milioni. I dati che riporta il Corriere della Sera impongono una riflessione: nel secondo trimestre di quest’anno, rispetto allo stesso periodo del 2007, i giovani occupati tra i 15 e i 43 anni sono passati da 7 milioni 333mila a 5 milioni 876mila. Meno 19,9%. Cosa fare? I giovani se non vogliono perdere le speranze devono investire nella loro formazione. E qui emerge un altro problema, perché l’investimento presuppone una disponibilità economica, di cui genitori dei nostri ragazzi potrebbero non disporre. La vita media – e questa non è certamente una cattiva notizia – si è allungata e le ricchezze si trasferiscono sempre più tardi da una generazione all’altra. Questo significa che il giovane laureato, se vuole fare un master, deve fare un doppio salto, scavalcare il papà e sperare nella comprensione dei nonni. Che non è detto avvertano la necessità dell’investimento in questione, mettendo a rischio l’impiegabilità delle generazioni future. Se poi il giovane è anche donna, sappiamo bene che tutto si complica. Uno dei recenti post pubblicati su questo blog è un vero e proprio grido di dolore. Malouine scrive che non riesce nemmeno a concepire l’idea di fare un figlio. Ha 34 anni, se non può pensarci ora, quando? Non sono io a poter proporre soluzioni, ma da un paio d’anni ho voluto dar spazio ai giovani sulla rivista
Incontro un’amica inserita in un percorso di crescita manageriale nell’azienda nella quale lavora da poco. Mi racconta di un’avventura che si prospetta stimolante, deve gestire un gruppo di persone e il suo lavoro le piace. Mentre parliamo la sua bimba di quasi 5 anni non dà segni di volerla lasciar chiacchierare in pace. Sta comoda in braccio alla sua mamma. E allora il discorso cade li, su come si gestiscono lavoro e famiglia, cosa fa l’azienda per agevolare le carriere delle donne. E parte lo sfogo.
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Di Lauro Venturi
Ho navigato a lungo sul sito e la considerazione di fondo è: se queste sono le dirigenti disperate, non oso pensare all’energia liberata da quelle piene di speranza.
Chiara non è certo una “desperate housewive”, anche se conoscendola più del livello superficiale e meno dell’amicizia posso intuire sprazzi di perfezionismo, sempre però gestiti con il buon senso della subottimalità e della imperfezione (che mai è trascuratezza).
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