(di Daniela Rimicci)
Essere genitori, o meglio essere genitori che lavorano all’interno di un’organizzazione, implica ormai una conciliazione efficace tra vita professionale e vita familiare: vi è una forte necessità di innestare un circolo virtuoso in cui il genitore sia presente nella vita dei suoi figli ma continui a essere una risorsa importante per l’azienda.
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Come ha scritto il comico Gene Gnocchi sul settimanale ‘A’, per chi ha creduto nella profezia Maya e nel mese di dicembre ha fatto l’amore senza preservativo, il 2013 potrebbe rivelarsi un anno ancor più difficile rispetto al passato 2012 che, da buon bisestile, non ha tradito le aspettative.
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Su quotidiani e settimanali il dibattito non accenna a placarsi. Da quando Anne-Marie Slaughter ha ‘gettato la spugna’ e urlato al mondo che famiglia e carriera sono incompatibili il dibattito, che già impazzava, non conosce tregua. Tutti si interrogano, nessuno trova risposte. Il settimanale Grazia organizza un dibattito interno: la redazione tutta si interroga. Come dire, non aspettiamo che siano gli altri a darci delle risposte, facciamoci delle domande e rispondiamo prima a noi stessi. Poi sentiamo il resto del mondo cosa ha da dire. Una sorta di analisi collettiva. Una considerazione mi colpisce. Al di là della constatazione che i padri sono sempre più consapevoli del proprio ruolo – e questo è un bene – la differenza la fa il senso di colpa, che scatta sempre e solo nelle donne. E a volte sono le donne ad instillarlo alle altre donne. Confermo. Nel paesino ligure dove passo le mie vacanze non si contano le vicine d’ombrellone integraliste: non puoi lasciare tutto il giorno tuo figlio nelle mani di una tata che parla a mala pena l’italiano, i figli che crescono con le mamme a tempo pieno stanno meglio, se fai tutto rischi di far tutto male. Il campione di riferimento in questione potrà non essere rappresentativo, ma sarebbe sbagliato liquidare la questione snobbando le ‘sagre dell’ovvio’. Si tratta pur sempre dello specchio di un sentire collettivo, e quando si parla di cambi di cultura bisogna partire da lì, dalle opinioni dei vicini, d’ombrellone, di casa o di scrivania. Molto spesso si innescano conversazioni dalle quali mi par di uscire perdente, soprattutto se intervengono i padri del partito anti-tata (mio figlio deve stare con sua madre, tuonano in tanti, come se non fossero le madri le prime a voler stare con i figli…). Ma non mi perdo d’animo. E trovo conforto in ricerche che dimostrano che le mamme che conciliano lavoro e carriera godono di migliore salute, fisica e mentale. A riportare la notizia il quotidiano La Stampa: “Donne sane e felici se il lavoro è a tempo pieno”. I ricercatori della Penn State University e dell’ateneo di Akron che hanno studiato 2.540 donne diventate madri tra il 1978 e il 1995 hanno concluso che riprendere a lavorare dopo la maternità fa bene, al fisico e alla mente. Lavorare, dunque, fa bene. Io mi fido. E voi?
Simone de Beauvoir diceva che avremo la parita’ solo quando troveremo una donna stupida in un posto di responsabilità. Volendo attualizzare il concetto ai nostri giorni, mi vien da dire che avremo la parità quando troveremo un uomo che, come Anna Marie Slaughter, ex funzionario del Dipartimento di Stato Usa, affermerà di voler rallentare i propri ritmi di lavoro per seguire di più i figli. Finche’ la responsabilità dell’educazione dei figli sarà percepita come un impegno prevalentemente femminile, soprattutto dalle stesse madri, difficile immaginare grandi cambi culturali. In questo dibattito che riempie le pagine di quotidiani e settimanali, possibile che nessuno abbia bussato alla porta della rinunciataria più famosa del momento per chiedere: “Scusi, il padre dei due scapestrati che la costringono a rinunciare alla carriera, dov’è?”.