Perfezionismo, poca autostima, perenne senso di inadeguatezza.
Giusto un paio di note caratterizzanti dell’universo femminile. Che tendono ad acuirsi ora che le organizzazioni stanno cambiando –hanno già cambiato– i loro paradigmi organizzativi. Siamo passati dal modello fordista al modello del ‘caos’, al mondo liquido, totalmente privo di ‘certezze organizzative’. I team si accorpano e si smembrano secondo le esigenze. I confini, anche all’interno del ben definito mondo aziendale, si sfumano, “le organizzazioni stanno inesorabilmente passando da modalità fordiste, centrate sulla chiarezza del ‘chi fa cosa’, legate a procedure ineluttabili e a risultati pianificati, al caos perenne delle turbolenze di mercato, del just in time, del gruppo che lavora insieme, invece dell’individuo sovrano. Un modo di lavorare che, per donne perfezioniste che invocano precisi confini, diventa una fonte di stress immensa”.
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Le imprese a guida femminile hanno performance gestionali e finanziarie superiori alle medie di settore. Le aziende guidate da top manager donne hanno aumentato più velocemente i ricavi, generato più margini lordi e chiuso più frequentemente l’esercizio in utile. Tra il 2001 e il 2007 le società femminili hanno incrementato i ricavi a un ritmo medio annuo superiore rispetto a quelle maschili in ogni fascia di fatturato considerata. Le imprese con un capo donna hanno anche evidenziato una migliore capacità di generare profitti nel 2007.
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Mentre scrivo questa rubrica è in corso il vertice di Copenhagen. 7,3 i miliardi di euro stanziati in 3 anni per aiutare i paesi poveri a ripulire i cieli dall’inquinamento. I 27 stati membri dell’Unione Europea si ripropongono di tagliare le loro emissioni di gas serra del 30% da qui al 2020. L’obiettivo di fondo? Limitare a 1,5-2 gradi l’aumento delle temperature del globo.
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Crescono le rappresentanze femminili in tutti gli ordini professionali. Ma il pay gap resta alto. Tradotto, significa che le donne lavorano di più ma guadagnano di meno. Recente la pubblicazione su Il Sole 24 Ore di un’indagine che analizza il divario salariale nelle professioni. I risultati meritano una riflessione. Il divario salariale tra gli avvocati raggiunge il 59%, il 55% tra gli architetti, il 50% tra ingegneri e tra il 30 e il 40% circa il divario tra dottori, commercialisti e ragionieri. Il problema esiste anche per chi lavora in azienda: le manager guadagnano in media ottomila euro in meno dei colleghi maschi.
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