Un gioco da ragazze – di Marina Terragni
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Come le donne rifaranno l’Italia
La narrazione del patriarcato non funziona più. Doesn’t work. Non si trova una sola donna, ma non ci sono nemmeno troppi uomini disposti a credere che il mondo gira soltanto se uno dei due sessi si mette al centro, nella parte dell’Assolutom tenendo l’altro fuori e sotto il tallone. Questa, semmai, è la malattia da cui il mondo chiede di guarire.
Questo il messaggio che troviamo nell’introduzione del libro di Marina Terragni, attenta osservatrice di quel accade intorno a noi. E i suoi occhi, cosa vedono? Vedono un mondo in cui un maschile non ha più senso che prevalga sul femminile. Ma soprattutto, vedono un mondo, una società nella quale la quasi totalità di rappresentanza maschile nelle stanze che contano ha prodotto troppi danni. È stato questo eccesso maschile a metterci nei guai, scrive Marina. È ora che le donne, come solo loro sanno fare, entrino nelle stanze che contano, buttino fuori tutto quel che c’è e comincino a fare ordine. Lo possono, ma soprattutto lo sanno fare. La nostra società, il mondo, non si può più permettere di lasciarle fuori. L’estraneità non è più adatta ai tempi. Abbiamo bisogno di poter contare su un ‘doppio sguardo’, abbiamo bisogno di esserci dove si decide delle nostre vite. Abbiamo bisogno di non far prendere ad altri risoluzioni che tanto impattano su di noi. Abbiamo bisogno di essere noi a dire quel che ci serve, e non lasciarlo decidere a chi non è capace di fare ordine, perché non l’ha fatto mai. Per questo le donne devono avvicinarsi alla politica, per poter influire sulle decisioni che riguardano noi, le nostre famiglie, i nostri figli, la società nella quale ci troviamo a viviere. Non possiamo più permetterci di stare ai margini della politica, non possiamo più restarne fuori, il prezzo che stiamo pagando è troppo alto. Ma dovremo andare in quelle stanze restando noi stesse, occupandoci di politica con approccio femminile, evitando di indossare panni che non ci appartengono. Solo così potremo cambiare le cose. Travestite da uomini, faremmo dei male a noi stesse e agli altri. Il problema è che mancano i modelli di riferimento e noi dobbiamo portare il nostro punto di vista, la nostra idea di bene comune. Ci vuol coraggio, ma è l’unica via. Le aziende dove ci sono le donne ai vertici vanno meglio. Ma qui non si tratta solo di Womenomics, di lavoro femminile che traina l’economia, si tratta di avere il coraggio di portare la nostra visione, il nostro sguardo, il nostro agire disinteressato che tanto rimanda al lavoro di cura nelle stanze dove si fa politica.
Coraggio, scrive Marina, è un gioco da ragazze.
luigimariasicca
E se la chiave di lettura dei temi proposti proposti da Chiara – ancora una volta con intelligenza e incisività – fosse già presente nella cultura e nelle tradizioni proprie del mondo antico ?
“Non ci sono più le mogli di una volta…” direbbe un dirigente disperato e tardivamente speranzoso di coltivare un culto ed un (cattivo)gusto retrò.
Quel luogo comune denso di aggressivo sexismo contiene un tema: l’incompiuto processo di definizione dei ruoli affettivi, prima ancora che produttivi e sociali: una divisione del lavoro ed un coordinamento tra manager e manager …., senza articolo determinativo.
Una storia ben narrata già nel mondo classico. E – ancora una volta – le radice millenarie della cultura eurocentrica hanno molto da insegnare a noi, gente di management .., che operiamo in organizzazioni formali orientate da un paradigma poco più che centanario.
Forza Chiara … continua così …
Chiara Lupi
Hai ragione quando parli di incompiuto processo di definizione dei ruoli affettivi, prima ancora che produttivi e sociali. Forse, tra la crisi del management e la crisi delle relazioni, private, una relazione c’è…