Valore D. Donne ai vertici
Nelle grandi imprese italiane le donne ai vertici raggiungono il 4%.
Un risultato che ci posiziona dopo Bulgaria e Romania. Come dire, c’è ancora molto da fare.
E per recuperare questo gap un gruppo di aziende, presieduto da Simona Scarpaleggia, Deputy Country Manager di Ikea Italia Retail, ha fondato l’associazione Valore D – Donne ai vertici per l’azienda di domani, con l’obiettivo di aiutare le aziende a individuare i talenti al femminile, sviluppare percorsi di crescita professionale, favorire il loro ingresso e permanenza nei vertici aziendali e far sentire la propria voce interagendo con interlocutori istituzionali e con l’opinione pubblica.
“Un gruppo di aziende –ci spiega Simona Scarpaleggia– ha deciso di mettere a fattor comune le proprie forze, energie e impegno per sostenere la crescita professionale delle donne verso posizioni di vertice. E lo fa in un momento di grande incertezza economica, dimostrando di credere veramente in questo progetto. La nostra è la prima iniziativa, in Italia, che mette a fattor comune le esperienze e competenze di diverse aziende a sostegno della crescita delle donne nei ruoli aziendali. Gran parte delle aziende associate ha infatti già attivato al proprio interno programmi di supporto alla crescita professionale delle donne”. Un impegno concreto testimoniato da una prima iniziativa, una ricerca realizzata in collaborazione con McKinsey&Company, dove emerge l’arretratezza dell’Italia sotto il profilo della rappresentanza femminile. L’Italia, emerge dalla ricerca13, si posiziona all’ultimo posto in termini di tassi di occupazione femminile (47%), distanziata di oltre 25-36 punti da Danimarca e Svezia e di 11 punti dalla media UE a 27. Cifre che dimostrano quanto il nostro passo non regga quello dei nostri vicini di casa europei. Preoccupante anche il dato che riguarda la rappresentanza nelle istituzioni. I ministri donna sono il 18% in Italia, rispetto al 26% della media UE. E l’attuale crisi è destinata a peggiorare le cose. L’attenzione delle aziende ai programmi di diversity è destinata a essere soppiantata da altre urgenze mentre i molti lavoratori flessibili, tra cui tante donne, corrono evidenti rischi di ridimensionamento. Nell’ambito di questa ricerca ci si domanda se la situazione cambierà nei prossimi anni. Bene, si evidenzia innanzitutto la necessità di smontare alcuni luoghi comuni: • Non è vero che se cresce l’occupazione femminile, tra qualche anno anche la leadership femminile aumenterà; • Non è vero che lo sviluppo del terziario e dei settori ‘più femminili’ porterà a una maggiore presenza di donne ai vertici; • Non è vero che una maggiore presenza delle donne nelle facoltà universitarie che contano per la leadership le proietterebbe verso i vertici; • Non è vero che con una maggiore determinazione le donne potrebbero raggiungere obiettivi di carriera più elevati. Per facilitare la crescita della leadership femminile servono tre cose: strumenti e strutture a supporto della famiglia, politiche di gestione delle risorse improntate su logiche meritocratiche e un cambiamento di mentalità nei comportamenti collettivi. Le aziende hanno tutto l’interesse a migliorare la rappresentanza femminile al proprio interno; con un mix di genere ottengono infatti performance organizzative migliori e performance economiche superiori. Cosa dovranno fare le aziende? “Le imprese –spiega Micol Fornaroli, Associato Fondatore di Valore D e Partner di McKinsey&Company– potranno sviluppare programmi di diversity efficaci attraverso l’adozione di un sistema di monitoraggio sistematico della situazione al proprio interno. In pratica, un set di indicatori chiave che consentano di monitorare l’intero percorso professionale delle donne, dall’entrata in azienda, ai passaggi di ruolo, alle ragioni dell’eventuale uscita, con una puntuale verifica della loro presenza per livello di responsabilità e del ricorso a strumenti di flessibilità. Inoltre, dovranno affinare le loro politiche di gestione delle risorse umane verso sistemi gender neutral, migliorare gli strumenti di flessibilità già esistenti e promuovere iniziative per il superamento delle barriere culturali ”. Bene, questo il compito delle aziende. Ma le donne, in tutto questo, cosa possono fare? Come possono intervenire per modificare uno stato di cose che, obiettivamente, non le favorisce? Una chiave di lettura la fornisce Concita De Gregorio, giornalista, scrittrice e Direttore del quotidiano l’Unità che, con grande lucidità e pacatezza, introduce il concetto di rischio. Intraprendere un percorso di carriera, essere madre, moglie, impone delle scelte. Che presuppongono la predisposizione a correre dei rischi. Ma fuggire dai rischi, rinunciando a mettersi in gioco o, addirittura, rinunciando alla maternità, è una forma di debolezza. E, a conti fatti, dice Concita (madre di quattro figli, ndr), non ne vale la pena.